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Forti le tensioni sull’approvazione della riforma del lavoro. L’opposizione ha protestato e molto critici sono stati soprattutto il Movimento 5 Stelle e SEL. Si è registrata una spaccatura interna al PD. Non si sono avute soltanto tensioni tra la maggioranza e la minoranza del PD, ma c’è stata un’ulteriore frattura tra l’area che fa capo a Pippo Civati e il gruppo più nutrito della minoranza che potremmo definire “radicale”.
– IL TESTO COMPLETO DELLA LEGGE PROPOSTA DA RENZI
La riforma si basa su un vero e proprio progetto di Renzi, che avrebbe come obiettivo quello di ridare slancio all’economia italiana. Da parte del Premier si vuole avviare un processo di crescita del nostro Paese. Nel discutere i provvedimenti che starebbero alla base dell’intero progetto ci sono state varie polemiche, sia con i sindacati, ma anche all’interno della maggioranza. In fin dei conti quello del lavoro non è affatto un tema da sottovalutare, perché può essere veramente centrale, per aiutare l’Italia a superare il momento di crisi incredibile che sta attraversando.
Non si tratta soltanto di discutere sui licenziamenti e sull’articolo 18, ma di trovare delle nuove modalità, che riguardano anche la maniera in cui i giovani possano introdursi nel mondo del lavoro, attraverso periodi di apprendistato. Allo stesso tempo c’è da rivedere la questione complessa sui contratti. La riforma di Renzi vuole essere davvero “rivoluzionaria” anche in questo senso.
I contratti
Renzi prevede fino a 3 anni di prova prima dell’assunzione. La formula a cui giungere sarebbe quella del contratto a tutele crescenti, in relazione all’anzianità di servizio. Questo conduce a due soluzioni: un periodo di prova lungo, da 3 a 6 anni, oppure un’altra ipotesi, che prevede un licenziamento sempre possibile, ma con un indennizzo che cresce in base all’anzianità del servizio. Dall’1 gennaio, il progetto renziano prevede anche di avere il tfr in busta paga per chi guadagna 1.500 euro lordi al mese.
L’apprendistato
Torna obbligatorio l’apprendistato pubblico ma con le Regioni che devono garantirlo entro 45 giorni. Si ha tempo fino a fine anno per adeguarsi: le aziende con più di 30 dipendenti devono avere almeno il 20% di apprendisti prima di stipulare nuovi contratti. Al termine dei 36 mesi di apprendistato, i datori di lavoro possono riprendere apprendisti ma solo se confermano il rapporto a tempo indeterminato di almeno il 20% degli apprendisti. Tra un anno è previsto il controllo del decreto con una relazione alle Camere che dovrà evidenziare “gli andamenti occupazionali e l’entità del ricorso al contratto a tempo determinato e al contratto di apprendistato, ripartito per fasce d’età, genere, qualifiche professionali, aree geografiche, durata dei contratti, dimensioni e tipologia di impresa e quant’altro utile per una valutazione complessiva del nuovo sistema di regolazione dei rapporti di lavoro, in relazione alle altre tipologie”. Il decreto si attua ai contratti fatti dopo l’entrata in vigore: le aziende e i datori di lavoro hanno tempo fino al 31 dicembre 2014 per adeguarsi anche con i contratti in corso. In ogni caso, chi non rientra nei parametri entro tale data “non può stipulare nuovi contratti di lavoro a tempo determinato fino a quanto non rientri nel limite percentuale”.
I licenziamenti
In tema di licenziamenti, quello che avviene per motivi discriminatori, ad esempio ragioni di carattere politico o religioso, non può essere oggetto di trattativa, perché si andrebbe contro i principi della Costituzione. Il giudice può stabilire, però, sul licenziamento disciplinare, che potrebbe portare anche al reintegro sul posto di lavoro. Nel caso di licenziamento di carattere economico è previsto un indennizzo il cui importo varia in base all’anzianità di servizio. Dopo le discussioni interne al PD, viene mantenuto il reintegro per i licenziamenti discriminatori e per i disciplinari senza giusta causa in determinate fattispecie.
Addio ai co.co.co e ai co.co.pro
Con la nuova normativa riguardo ai contratti, che prevede anche uno sfoltimento delle tipologie contrattuali esistenti, si vuole cercare di porre rimedio a tutte quelle forme di collaborazioni coordinate e continuative, che si sono avute nel corso del tempo. Si punta alla creazione di un testo organico, che possa fare chiarezza sui vari tipi di contratti.
Riforma della cassa integrazione
La riforma del lavoro di Renzi afferma che sarà impossibile autorizzare la cassa integrazione in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale. Sono previsti dei sistemi di garanzia per tutti i lavoratori attraverso tutele uniformi e che mantengano un legame con i contributi del dipendente. Inoltre saranno aggiunti dei limiti di durata del sussidio, che attualmente è di 2 anni per la cassa ordinaria e di 4 per quella straordinaria.
Flessibilità
Con il Jobs Act si punta alla flessibilità, perché il passaggio da una mansione all’altra diventerà più semplice. Viene introdotta anche la possibilità di demansionamento. Tutti questi elementi vengono introdotti in caso di riorganizzazione o di conversione da parte dell’azienda, puntando sull’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro.
Nuova Aspi e incentivi
E’ stato stabilito che la durata del trattamento di disoccupazione dovrà essere rapportata alla storia contributiva del lavoratore. Per le persone che si trovano in situazioni di disagio economico potrebbero essere previsti ulteriori sostegni dopo l’Aspi, senza far riferimento ai contributi versati. Si andrà ad istituire un’agenzia nazionale per l’impiego, per incentivare le assunzioni e gestire i rapporti di lavoro e gli adempimenti soprattutto per via telematica.
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