Parte quella che in molti definiscono una vera rivoluzione per i tribunali italiani. Entra infatti in vigore la norma compresa nella riforma della giustizia voluta dal governo Renzi che depenalizza i reati minori, dando al giudice la discrezionalità di archiviare i casi ritenuti tenui. L’obiettivo è quello dichiarato da tempo: alleggerire le Aule di giustizia ingolfate da migliaia di procedimenti. Quello che cambia da ora è l’obbligatorietà dell’azione penale per i reati minori: in determinati casi e con certe condizioni, il giudice potrà decidere di archiviare il caso senza dover istruire un processo. La norma, voluta dal Guardasigilli Andrea Orlando, inserisce così la “tenuità del fatto”. Di cosa si tratta?
A volerlo tradurre, si tratta di fatti di poco conto, di colpe “leggere”. Un esempio è il furto, reato che in teoria arriva fino a 5 anni ma che comprende una varietà di situazioni molto diverse. Da ora, se una persona ruba una busta di prosciutto o una confezione di carne dal supermercato, il giudice, in accordo con il Pm, può decidere di archiviare il tutto, senza fare il processo. Sulla carta, la norma sembra perfetta ma, come in ogni azione della politica, si nascondono problemi. Da parte di magistrati e avvocati è però arrivato un plauso netto: era da anni che chiedevano una norma simile, ricorda in particolare l’Anm.
Cosa dice la norma
Con la tenuità del fatto viene data al giudice piena discrezionalità nel caso di reati che prevedono pene che vanno dalla semplice sanzione pecuniaria a un massimo di 5 anni di carcere. Alcuni reati sono stati esclusi: si tratta di reati che provocano morte o lesioni, compiuti per crudeltà, per motivi abietti, contro i più deboli e gli incapaci di difendersi, contro gli animali. Escluso anche lo stalking. Perché si abbia la possibilità di vedere archiviato il processo, ci devono essere altre condizioni: il reato deve essere compiuto per la prima volta, il colpevole non deve essere un delinquente recidivo o abituale, e il danno prodotto deve essere di “particolare tenuità”, ossia non ha prodotto gravi danni.
Le criticità
Fin qui, sembra che la norma sia perfetta, ma le criticità sono ancora molte. In primo luogo la grande discrezionalità data al giudice: questo può creare giudizi difformi, con decisioni diverse anche per casi simili se non uguali.
Nella gamma dei reati compresi ci sono tutti quelli che arrivano fino a 5 anni di carcere e alcuni sono particolarmente delicati perché di impatto sociale. Tra questi si contano la realizzazione di discariche abusive, traffico di rifiuti, adulterazione di cibi e medicinali, omissioni nella sicurezza sul lavoro, truffe, intrusione informatica.
C’è anche la guida in stato di ebbrezza: se si viene fermati con il tasso alcolemico superiore al consentito si può essere “graziati” a patto di non aver provocato un incidente. La distinzione è d’obbligo visto che molti hanno iniziato a cavalcare la polemica. In questo caso si passa al reato di omicidio colposo n violazione del codice della strada che prevede una pena minima di sette anni, dieci nel caso di guida in stato di ebbrezza.
Ci sono poi i processi già in corso che potrebbero rientrare nei casi di specie: non è chiaro cosa debba succedere ma molti magistrati pensano di usare la norma retroattivamente, facendo leva sul principio base dell’ordinamento italiano di favorire l’imputato il più possibile.
Tanti dunque i punti critici di una norma che poteva essere pensata meglio su alcuni tipi di reato (che la detenzione di materiale pedopornografico sia nel novero dei reati depenalizzati è agghiacciante, così come il traffico di rifiuti spesso in mano alle mafie). Il dare così tanta discrezionalità e potere ai giudici può essere un rischio, perché bisognerà comunque fidarsi della decisione di una singola persona. Rimane il pregio di aver dato uno scossone all’elefantiaco sistema della giustizia italiana, incartato su se stesso: per capire se la depenalizzazione avrà funzionato dobbiamo solo attendere.