È passato senza eccessivo clamore mediatico il via libera del Senato alla legge di riforma dei parchi naturali, un testo approvato a larga maggioranza, con 154 sì, 47 no, 36 astenuti, ma che invero lascia molto critiche le associazioni ambientaliste, le quali hanno pubblicato un documento congiunto per spiegare punto per punto cosa non va in questa riforma. La legge di riforma dovrebbe intervenire sul sistema complessivo di gestione dei parchi, che si trovano in condizioni precarie da parecchi anni, ma il testo approvato non convince gli ambientalisti, secondo cui anzi si va in una direzione di un ulteriore indebolimento della governance che dovrebbe garantire e tutelare le biodiversità presenti sul nostro territorio.
Il testo di riforma punta ad avere una struttura dirigenziale più snella e meno farraginosa, allo scopo di rafforzare la tutela delle aree protette evitando il problema dei lunghi commissariamenti che hanno colpito molti parchi italiani negli ultimi anni, ma il dubbio avanzato dalle associazioni ambientaliste è che si voglia assoggettare la tutela dei parchi agli interessi economici dei singoli territori. A lasciare particolarmente perplessi è la norma che prevede un maggior potere decisionale degli enti locali nella scelta dell’ente di gestione: in questo modo ‘l’assessore di turno può decidere, se per esempio gli fa comodo in campagna elettorale, di tagliare fuori tecnici e scienziati che rispondono dell’estinzione di specie che rischiano di sparire dalla faccia della Terra dopo milioni di anni‘, ha denunciato in un’intervista a Repubblica l’etologo Enrico Alleva, così come non convincono altri aspetti del ddl approvato al Senato, come la possibilità per i parchi di ricevere royalties dalle attività estrattive che avvengono all’interno del territorio, e il nuovo ruolo di rappresentanza affidato a Federparchi.
Per questo motivo 17 associazioni ambientaliste, quasi tutte le sigle più importanti del panorama nazionale, hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui si asserisce che ‘la riforma non valorizza il ruolo delle aree protette come strumento efficace per la difesa della biodiversità e non chiarisce il ruolo che devono svolgere la Comunità del Parco. Un testo che che doveva rafforzare il ruolo e le competenze dello Stato centrale nella gestione delle aree marine protette, ma che in realtà continua a lasciare questo settore nell’incertezza e senza risorse adeguate. Perché non possiamo non sottolineare che questa riforma viene fatta senza risorse, che la legge approvata non riesce a delineare un orizzonte nuovo per il sistema delle aree protette e senza migliorare una normativa che, dopo 25 anni di onorato servizio, non individua una prospettiva moderna per la conservazione della natura nel nostro paese‘. Accuse molto circostanziate e precise che però hanno appena scalfito l’attenzione della pubblica opinione, evidentemente distratta da altre vicende importanti di questi giorni. E tuttavia non va abbassata la guardia, poiché tropo spesso la noncuranza ha portato in passato ad abusi e veri propri scempi nei parchi nazionali italiani, con vicende che hanno avuto soltanto in extremis la giusta attenzione di governo e cittadini, come la ventilata chiusura, poi scongiurata, delle riserve naturali siciliane all’inizio del 2016: è bene che la vigilanza resti attiva prima dell’approvazione definitiva del disegno di legge, onde evitare che i presunti rimedi siano peggiori dei conclamati mali.
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