La situazione climatica del pianeta è diventata alquanto precaria negli ultimi anni, e il riscaldamento globale resta una delle questioni più urgenti da affrontare per garantire un futuro alle nuove generazioni: in questo contesto, la notizia dello scioglimento del permafrost in Artide, e le possibili conseguenze sull’inquinamento atmosferico, aggiungono ulteriore sale su una ferita aperta per tutta l’umanità. Tutto nasce da una ricerca del Cnr pubblicata su Nature Communications, secondo cui i terreni artici rappresenterebbero una sorta di gigantesca fonte di inquinamento che al momento è tenuta sotto controllo dai ghiacciai. Me se l’aumento della temperatura terrestre erode questi ghiacciai che iniziano così a sciogliersi, potrebbe liberare nell’aria agenti patogeni in quantità pari a due secoli di emissioni.
Secondo quanto riferisce questo studio coordinato dal Cnr, il carbonio contenuto all’interno del permafrost potrebbe nei prossimi decenni riversarsi in atmosfera sotto forma di composti come CO2 e metano, gli elementi dal maggior impatto inquinante nell’atmosfera: il pool internazionale di scienziati ha analizzato attraverso carotaggi campioni di terreno al largo della Siberia, riscontrando presenza di carbonio nelle bolle intrappolate nel suolo marino, che hanno confermato che il picco di anidride carbonica e di metano riscontrato in un’epoca passata compresa tra 14mila e 7mila anni fa, alla fine dell’ultimo periodo glaciale, fu proprio conseguenza dello scioglimento del permafrost. Dunque parliamo di una possibilità tutt’altro che remota o ipotetica, giacché è già avvenuta in passato, e allora contribuì ad aumentare la temperatura della Terra di quattro gradi centigradi.
Tommaso Tesi, ricercatore dell’Ismar-Cnr di Bologna e primo autore dello studio in questione, ha spiegato ai media la composizione del materiale inquinante congelato nel permafrost: ‘Si tratta del carbonio solido presente nelle biomasse del suolo, materiale organico dalle antiche foreste, vegetazione e animali, sedimentato nel corso della storia, che da materiale inerte, congelato, torna disponibile per i batteri, e questi ultimi,’mangiando’, lo trasformano in anidride carbonica e metano. Migliaia di anni fa questo processo fece aumentare la temperatura del pianeta molto rapidamente‘. Dal passato remoto giunge dunque una lezione per comprendere quale direzione potrebbe prendere il nostro futuro senza interventi urgenti, e se allora le conseguenze furono 4 gradi in più nella temperatura media terrestre, le conseguenze potrebbero essere ben più rilevanti adesso, poiché nel permafrost artico è contenuto più del doppio della concentrazione di carbonio presente in atmosfera prima della Rivoluzione industriale: considerando che ogni anno, secondo l’Ipcc, le emissioni dell’uomo ammontano a circa 8,9 miliardi di tonnellate di carbonio, la riserva del permafrost rappresenta all’incirca 190 anni di emissioni inquinanti tutti in una volta. Se avvenisse lo scioglimento, vanificherebbe qualsiasi sforzo di contenere l’aumento della temperatura terrestre da parte dei Paesi della Terra, compromettendo la vivibilità nel pianeta.
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