Il ritiro sociale adolescenziale è un fenomeno in crescita tra i giovanissimi e necessità della massima attenzione. La chiusura imposta dalla quarantena non ha fatto che peggiorare un problema già esistente.
Quando un familiare o parente si trova ad avere a che fare con i primi sintomi, che potrebbero dare già qualche segnale ad un occhio esperto, non può immaginare la complessità del problema che si sta prospettando in famiglia. In giovane età un ragazzo che si chiude nella sua camera non desta preoccupazione ma, la società oggi impone uno sguardo maggiore all’isolamento degli adolescenti. Il ritiro sociale è spesso capito troppo tardi quando il percorso di reinserimento necessita di personale medico adeguato.
Quando si parla di ritiro sociale adolescenziale stiamo parlando di un isolamento estremo che porta il ragazzo o ragazza a chiudersi in sé stesso e ridurre pericolosamente ogni collegamento con il mondo esterno. Se inizialmente il rifiuto è soltanto di uscire dalla stanza, arriva poi il momento in cui compiere soltanto un passo fuori da quella stessa stanza sembra un’impresa eccezionale per l’adolescente.
Un disagio reale e una sofferenza profonda per chi ne è affetto e non riesce a comunicare questo disagio interiore. Il passaggio successivo che è sempre presente in questi casi è la discontinuità scolastica. Può avere diverse cause scatenanti come la piaga sociale del bullismo o nascere da un’inadeguatezza personale non imputabile all’ambito scolastico.
Il ritiro sociale è una realtà radicata che va tenuta sotto controllo e soprattutto va spiegata bene anche ai genitori degli adolescenti. Maria Pontillo spiega a Rai News che molti ragazzi nascondono il dolore e dunque il ritiro sociale è difficilmente individuato in maniera tempestiva.
Istruire la società e le famiglie è uno dei primi passi necessari da compiere per avere la carta della tempestività in mano. Arrivano nei centri di neuropsichiatria infantile dei vari ospedali italiani ragazzi che si sono ritirati socialmente da quattro o cinque anni.
Il ritiro sociale adolescenziale è una realtà molto diffusa che è esplosa maggiormente dopo le restrizioni della pandemia. I numeri che emergono dagli ospedali è significativo e non va ignorato perché fa emergere un disagio sociale. Maria Pontillo insieme a Stefano Vicari ha scritto un libro sull’argomento intitolato “Adolescenti che non escono di casa”. Questo per far capire l’importanza del parlarne e sdoganare la paura del giudizio altrui.
Viene spiegato che i ragazzi affetti da ritiro sociale raramente hanno scatti di ira o rabbia o comportamenti tali da aver bisogno di un intervento del 118 urgente. Proprio per questo i pazienti attuali adolescenti sono circa 120.000 ma gli psicoterapeuti affermano che i numeri reali sono sicuramente più del doppio.
Il percorso comincia molto spesso con la chiamata della scuola per mancata frequenza ai servizi sociali del comune di residenza. In questo modo si attiva il servizio e viene ascoltata ovviamente anche la famiglia poi l’adolescente da solo. Viene instaurato un rapporto con delicatezza senza forzare le uscite di casa e senza voler a tutti i costi informazioni.
Ma già soltanto uscire con cadenza settimanale, per recarsi alle sedute di psicoterapia, aiuta il reinserimento in società che è l’obiettivo finale. Ovviamente estrapolando le cause del malessere e con l’aiuto della terapia e sanando anche il problema psicologico.
Man mano che il paziente in età adolescenziale si apre con i medici si vede il cambiamento in modo radicale ma ciò che colpisce è la soddisfazione dell’adolescente. Già, perché nonostante alcuni non lo dicano apertamente, il percorso riapre la mente e rallenta l’ansia che soffocava i comportamenti che il paziente avrebbe voluto ma non riusciva a compiere.
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