La terza sezione penale della Corte d’appello di Genova ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione della sentenza che ha condannato Antonio Logli a vent’anni per l’omicidio della moglie Roberta Ragusa.
È una sconfitta della giustizia italiana? Non sempre il sistema giudiziario premia chi dice la verità. Ma chi ha il potere di crearne una.
Difficile, in uno stato di diritto, accettare la dichiarazione di inammissibilità da parte della Corte d’Appello di Genova. Accantonando i preconcetti, complicato è concepire una sentenza per omicidio volontario ed occultamento di cadavere. Complicato perché oltre al mancato ritrovamento del corpo di Roberta Ragusa, che dopo più di dieci anni resta ancora scomparsa, non vi è alcun tipo di evidenza che dimostri l’avvenuta morte violenta. Nessuna scena del crimine, nessuna arma del delitto. Nessuna prova capace di fondare una condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Anche se in diversi processi per omicidio volontario si è arrivati senza cadavere alla condanna dell’imputato, ciò è avvenuto in presenza di evidenze probatorie univoche.
Per Logli, invece, ci si è fatti bastare la testimonianza tardiva e confusa di quello che è stato ribattezzato come super testimone. Loris Gozi, un uomo di origini sinti e pluripregiudicato che, dopo otto mesi dalla scomparsa e dopo essere stato convocato con modalità ancora oggi non chiarite, ha prima dichiarato di aver visto un uomo e una donna litigare a bordo di una Citroen C3. Escludendo, dietro espressa domanda dell’autorità giudiziaria, che si trattasse di Antonio Logli. Poi, due mesi più tardi, ha rettificato sia in ordine al modello della macchina avvistata, non più solo una Citroen ma anche una Ford Escort, sia sull’identità dell’uomo. Anche nella sua versione definitiva, però, il super testimone mai riconoscerà Roberta Ragusa e mai dirà di aver assistito ad un omicidio. La posizione di Logli, prima dei tre gradi di giudizio, è stata archiviata. E in udienza preliminare l’uomo è stato prosciolto. Poi, però, il declino.
Un’indagine completamente declinata al singolare, che non ha aperto a protagonisti diversi dal marito e che si è fondata sul costante rifiuto dell’idea che una madre possa abbandonare la sua famiglia. Dimostrando ancora una volta come la collettività, e non solo quella, fatichi ad abbandonare le convenzioni sociali. Ignorando che quando qualcuno decide di sparire e di cambiare completamente vita lo sceglie per davvero. E lo fa senza guardarsi indietro perché tutto ciò che ha posseduto, figli compresi, gli avrebbe sempre ricordato la vita da cui cercava di scappare.
A pesare come un macigno è stata la relazione extra coniugale di Logli con Sara Calzolaio. L’amante scomoda, quella più giovane che secondo l’accusa avrebbe indotto la moglie a mettere alle strette il coniuge. Che, quindi, l’avrebbe uccisa. Senza lasciare traccia. Eppure, la Ragusa è stata cercata senza sosta, per anni e con ogni mezzo nelle campagne pisane, nei fiumi e nei laghi. Ovunque.
Ha vinto la bugia raccontata meglio? Intanto, c’è un condannato senza la certezza che sia colpevole e una donna che resta scomparsa fino a prova contraria.
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