Siamo per le strade di Roma, nel quartiere Appio Tuscolano, in un giorno di metà maggio. L’attenzione di alcuni passanti, tra i quali Maria Grazia Calandrone, viene attirata da una coppia che sta litigando: lui urla contro la fidanzata, le mette le mani addosso, la strattona, la fa cadere a terra continuando ad aggredirla verbalmente e non solo. Lei è ferita, si tocca il viso gonfio per le botte, non chiede nemmeno aiuto, soccombe. A quel punto il racconto dell’episodio di violenza continua, inchiodando alle loro responsabilità i presenti che, pur rendendosi conto di quanto stava avvenendo non intervengono.
La storia è stata raccontata da Maria Grazia Calandrone sul Corriere, dato che si trovava a pochi passi dalla coppia, è in effetti una testimone. Di fatti è stata l’unica che, alla fine, è intervenuta per dare aiuto alla donna presa a botte.
Calandrone è stata attirata dalle urla che salivano dalla strada, si è affacciata dalla finestra della sua casa e ha visto che un uomo stava picchiando la ragazza.
Nel racconto della poetessa, si legge: “Non penso a chiamare la polizia, penso che questa cosa deve finire adesso. Subito. Scendo. E vedo: la ragazza seduta sull’asfalto, che piange piano e si tocca il viso, si copre con la mano l’occhio sinistro, con l’occhio sano guarda dal basso il ragazzo che incombe sopra di lei. Lei non urla più, ha nella voce lo stupore e la supplica di una bambina: “Mi hai fatto male, mi fa male, è gonfio…”.
Adesso è lui a urlare, a propria discolpa: “Che c… dici, se t’ho dato un buffetto! Alzati, andiamo!” e la strattona per il braccio per portarla con sé. Urlo all’aggressore: “Lasciala! Lasciala stare!”. Il ragazzo, alto e robusto, si volta a guardarmi con un certo disprezzo. Insisto: “Non la toccare!”. Lui mi considera, con lo sguardo con il quale considererebbe una zanzara in una notte estiva: “Aò, ma te levi dar c…?”, è la risposta.
Nonostante ciò, ancora nessuno tra gli altri presenti è intervenuto. Intanto l’uomo ha cercato ancora di fare rialzare da terra la fidanzata, cercando di minimizzare le sue responsabilità. La giornalista ha continuato a dirgli qualcosa mentre aiutava la giovane a rialzarsi, poi le ha prestato il suo telefonino per chiamare la madre.
Scrive ancora la giornalista “Fino a quando? La consegno alla madre. Fino a quando? Mi alzo anch’io, raggiungo lui, pretendo di spiegargli che il suo comportamento è sbagliato, è pericoloso. Ci urliamo contro un dialogo in due lingue sconosciute. Una donna finalmente agisce: ‘Chiamo la polizia’. Io qui ho finito. Mentre mi avvicino al portone, sento un ultimo commento, alle mie spalle: “Ma dai, era una cosa fra ragazzi…”.
A noi resta un ultimo quesito: è proprio normale considerare un pestaggio una ‘roba da ragazzi’? Non è troppo pericoloso continuare a minimizzare situazioni del genere, che invece sono – purtroppo – più semplicemente dei veri e propri atti di violenza persecutori nei confronti di un’altra persona? Magari proprio la persona che si dice di amare.
Nell'universo apparentemente sicuro dei supermercati italiani, un nuovo caso sta catturando l'attenzione dei consumatori. Un…
Hai mai notato come le luci possano trasformare completamente un ambiente? C’è qualcosa di quasi…
Quando una vita si spegne, il silenzio lascia spazio a domande spesso trascurate. Non sono…
Un tranquillo pomeriggio si è trasformato in un susseguirsi di eventi degni di un film…
A quasi un anno dalla morte di Giulia Cecchettin, evento brutale che ha acceso un’ulteriore…
E sono sempre di più gli italiani che vorrebbero andare in pensione in anticipo. Per…