L’Inter è in finale di Champions League, il Milan no. Ma le soddisfazioni per le italiane nelle coppe europee non sono affatto finite. Anche il giovedì, infatti, non è magro per i club del nostro paese con Juventus e Roma impegnate rispettivamente contro Siviglia e Bayer Leverkusen. O meglio, è a due volti. Infatti, i giallorossi pareggiano contro i tedeschi e vanno in finale, mentre i bianconeri abdicano al Siviglia dopo i tempi supplementari. Allo stesso tempo, la Fiorentina riesce ad accedere alla finale di Conference League dopo aver battuto il Basilea con il risultato di 1-3, con un gol decisivo all’ultimo minuto di Antonin Barak e dopo i tempi supplementari.
Non c’è tempo di fermarsi, non per le squadre italiane che hanno tutta l’intenzione di andare il più avanti possibile in Europa e Conference League. Se due giorni fa è stata la volta dell’Inter portare avanti il nostro nome in tutto il continente, questa sera toccava a Juventus e Roma, ma anche alla Fiorentina. I tre impegni non erano affatto semplici per i club del nostro paese, visto che i bianconeri erano costretti ad affrontare una squadra rodata come il Siviglia e che soprattutto, a prescindere dai valori tecnici, ha dimostrato in più anni di poter arrivare fino alla fine nella seconda competizione europea per blasone e di essere probabilmente l’avversario più complicato da affrontare anche quest’anno, visto che è riuscito a eliminare anche il Manchester United. L’impegno, a dire il vero, è un po’ più facile per i giallorossi di Mourinho. Il Bayer Leverkusen ha delle basi tecniche importanti, una manovra avvolgente e la capacità di fare male sulla trequarti avversari come in pochi riescono a fare. Di contro, sono anche una squadra molto altalenante e lo dimostra il percorso in Bundesliga dove non figurano neanche tra le prime cinque posizioni e sono in lotta per il sesto posto, non senza difficoltà. Infine, c’è la Fiorentina, probabilmente sottovalutata e poco considerata all’inizio della competizione, ma che man mano si è trovata di fronte a impegni europei di spicco e non ha mai sfigurato, soprattutto grazie a una manovra offensiva che non ha tradito Vincenzo Italiano. Il Basilea, però, non era un avversario così scontato da affrontare, soprattutto tra le mura amiche e l’ha dimostrato anche nell’ultimo turno della competizione quanto ci tenga a fare bottino pieno e avanzare il più possibile fino alla finale. Ecco com’è andata dopo il doppio confronto delle semifinali e tutti gli eventi principali dei match in programma.
Quando si arriva a un passo dalla finale, non si può fare altro se non vincere e arrivare al turno successivo, quello in cui si assegna direttamente la coppa. Non sarà la Champions League, dove le cose sono andate male già durante la fase a gironi, ma la Juventus, dopo tutti i problemi vissuti in questa stagione, ha tutta l’intenzione di puntare dritta alla vittoria. In campionato, si attende ancora l’esito delle vicende giudiziarie e la possibile penalizzazione che sarà quasi certamente comminata e che potrebbe cambiare il volto dell’intera annata e di quelle successive, ma almeno in campo europeo il destino è tutto in mano dei bianconeri e dei suoi avversari. Vincere l’Europa League darebbe un volto differente all’intera annata e mettere in bacheca un trofeo prestigioso. Inoltre, avrebbe come diretta conseguenza l’accesso diretto alla prossima Champions League e un bel po’ di denaro che altrimenti non arriverebbe.
Non è diverso per la Roma che ha già posto delle basi importanti all’andata all’Olimpico contro il Bayer Leverkusen, ma vede la massima competizione europea sempre più lontana dopo aver perso diversi punti in campionato, a causa di qualche passo falso di troppo e delle tante assenze per infortunio. L’Europa League, quindi, non rappresenta solo una coppa che Mourinho e l’intera capitale, sponda giallorossa, sognano di mettere in bacheca, ma anche la possibilità di avere una corsia preferenziale che conduce direttamente all’obiettivo stagionale. Non è semplice, però, affrontare i ragazzi di Xabi Alonso, che sono cresciuti moltissimo nella seconda parte dell’anno sia a livello individuale, sia come gruppo, capace di attaccare insieme e difendere insieme, quindi di condurre al meglio la doppia fase in entrambe le fasi di gioco. La vittoria di misura dell’andata ha dimostrato come, in realtà, la Roma abbia tutte le carte in regola per farcela, soprattutto grazie a una capacità di difendere eccezionale che lo Special One ha costruito con le unghie e con i denti già nella scorsa stagione e con la vittoria della Conference League che ha dato cuore ed esperienza a un gruppo che poi è ulteriormente migliorato con innesti mirati e dall’alto livello qualitativo, quali possono essere Paulo Dybala, Georginio Wijnaldum e Nemanja Matic. Ma scopriamo come sono andate entrambe le partite nei dettagli di una e dell’altra.
BAYER LEVERKUSEN-ROMA 0-0 – I ragazzi di José Mourinho sono chiamati a un’altra grande prestazione, nonostante l’1-0 dell’andata e la possibilità di difendere il risultato favorevole conquistato nella Capitale. I tedeschi del Bayer Leverkusen, però, non hanno alcuna intenzione di abdicare, non prima del tempo. La prima frazione di gioco, infatti, ha il loro segno ben impresso e con la Roma schiacciata nella sua area di rigore per cercare di non subire gol. L’unica grande occasione è quella di Diaby che colpisce la traversa nei primi minuti di gioco. Il copione della partita era già ben scritto durante i primi novanta minuti del doppio confronto e non è cambiato più di tanto nel corso della partita, anzi fin da subito è stato chiaro dall’una dell’altra parte. I giallorossi, con il passare dei minuti, continuano a difendersi, e non subiscono neanche tanto, ma devono fare a meno di Leonardo Spinazzola che viene sostituito da Nicola Zalewski al 34esimo. La speranza è che per l’esterno italiano, fedelissimo di Roberto Mancini nella Nazionale italiana, non sia nulla di troppo grave e che possa tornare presto a disposizione per partite ancora più importanti. In realtà, lì per lì il suo ko è un problema di non poco conto per Mourinho che è costretto a utilizzare subito uno slot per le sostituzioni e perde un altro uomo chiave per ribaltare l’azione.
Non è l’unico cambio effettuato da Mourinho che, a inizio secondo tempo, cambia anche Andrea Belotti con Georginio Wijnaldum, al rientro dall’infortunio. Tutto il lavoro svolto dall’attaccante ex Torino è stato apprezzato, ma la sua prova è ancora una volta poco consistente dal punto di vista offensivo. Mourinho opta quindi per inserire nel match quei muscoli e quella qualità offensiva che il calciatore ex Liverpool e PSG ha sicuramente nel repertorio, uniti alla capacità di ribaltare l’azione palla al piede e portare la sfera nel fronte opposto dell’attacco, magari anche per punire un Leverkusen che comunque dovrebbe concedere molti più spazi con il passare dei minuti per cercare di trovare il gol del vantaggio.
Viene anche sospesa la partita per il calore, se così si può chiamare, dei tifosi tedeschi che accendono e lanciano verso il campo diversi fumogeni. Un episodio da condannare in toto e che rappresenta il lato brutto di una semifinale di coppa europea, se il suo andamento e il suo esito vengono vissuti nella maniera sbagliata. Una volta che il gioco riprende, il copione del match non cambia comunque, dato che è sempre il Bayer Leverkusen a fare la partita, stavolta senza creare palle gol evidenti, solo l’ansia della pressione offensiva che comunque la Roma gestisce con tutta la tranquillità di chi ha sposato questo stile di gioco da parecchio e ormai l’ha reso una questione identitaria. Nonostante i tiri siano tutti dei tedeschi o quasi (23 conclusioni contro uno), il muro della Roma resiste: può iniziare la festa, i giallorossi sono in finale!
La bellezza che deriva dal raggiungimento di una finale europea è qualcosa che difficilmente si può raccontare se non la si vede con i propri occhi. È un clima che è possibile vivere allo stadio, dove la gioia è subito esplosa sugli spalti ospiti e tra i giocatori, ma ancora di più nella Capitale, dove quasi in ogni angolo ha iniziato a circolare una scia di amore, felicità e grinta tutte giallorosse come un alone mistico che riesce a dominare su tutto e tutti. E qualcuno potrebbe storcere anche il naso: ma come, neanche hai vinto e già ti abbandoni alle urla, ai petardi, agli abbracci e all’alcol per godertela un po’ di più? Ci sembra una forma di invidia o di scaramanzia sbilenca che fa parte del modo di pensare dei detrattori, molto più di chi la vive realmente.
Sì, perché conta vincere nel pallone e sicuramente non andarci vicino, ma in questo caso stiamo parlando di una seconda finale europea consecutiva per la Roma, di cui la prima è già stata vinta e con la Conference da spolverare in bacheca. Stiamo parlando anche della seconda volta in due anni che Mourinho porta i suoi a giocarsela tra le ultime due e nella Capitale non succedeva di vederne anche solo una da decenni. Insomma, la storia è stata scritta già così e non si può rinnegare, soprattutto perché sarebbe andare contro i propri sentimenti e le proprie reazioni istintive che poi sono quelle che più di tutto dovremmo ascoltare per essere felici. E, quindi, almeno per qualche ora, e non necessariamente da tifosi, lasciateci esaltare per il lato romantico che lo sport sa dare. Per le lacrime di Tammy Abraham che non ha vissuto una stagione così esaltante, soprattutto dal punto di vista realizzativo e spesso si è trovato anche a perdere delle posizioni nelle gerarchie dello Special One in favore di Andrea Belotti, di un attacco più leggero che basi le sue fortune su Dybala e Pellegrini o addirittura per lasciare posto a Ola Solbakken, in alcuni casi.
Anziché prendersela con tutto e tutti, telefonare al suo agente o semplicemente dare inconsciamente meno alla causa, il bomber ex Chelsea ha semplicemente continuato a dare tutto ciò che aveva per far sì di fare la differenza e alla fine, pur senza gonfiare la rete, ha dato un contributo essenziale con le sue corse, una fase difensiva encomiabile e cercando anche di portare avanti la squadra in contropiede, con risultati poco brillanti, almeno in quest’ultimo caso. Giù il cappello per un attaccante giovane, ma molto poco viziato e ancora una volta per Mourinho, capace per l’ennesima volta in carriera di creare un gruppo dalle basi solide e dai valori morali inscalfibili. E non è un caso se poi sono i suoi ad avere sempre la mentalità migliore per arrivare fino in fondo.
Se si parla di singoli, poi, non si può fare altro se non rimarcare la magnifica presenza di Edoardo Bove. Parliamo di un giovane della Roma e cresciuto nella Roma, uno che sa bene cosa vuol dire l’attaccamento alla maglia e quanto paghi il lavoro e la serietà nella scalata verso il successo. Ha avuto la fortuna, e non la casualità, di trovare sulla sua strada un tecnico come Mourinho, uno che i giovani di valore li sa riconoscere e valorizzare, soprattutto sa come farli crescere al di fuori delle eccessive pressioni dei media e dell’ambiente, concedendo il minutaggio giusto e permettendo di migliorare al fianco degli altri campioni del reparto e della squadra. Bove ha aspettato il suo momento, ha cercato di inserire nel suo repertorio la qualità e la fisicità richiesta a certi livelli, si è preso le sue soddisfazioni fin dall’anno scorso e quest’anno quella più bella, la realizzazione del gol decisivo per portare i suoi direttamente in finale di Europa League. Ora per lui inizia la parte più bella, quella di prendersi gli applausi, quello che si è meritato, ma anche sempre più spazio nelle idee e nel futuro del club. Già dalla scorsa estate, in tanti hanno richiesto il trasferimento del centrocampista, soprattutto il Sassuolo, ma la società non ha voluto neanche ascoltare le offerte, convinta che il valore reale del calciatore fosse molto più alto rispetto alle valutazioni del caso. Tiago Pinto ha avuto ragione, insomma, e ora si gode un volante totale, intelligente e duttile, che sta mostrando con convinzione sempre maggiore le stigmate del predestinato.
Un elogio va fatto anche alla fase difensiva dei giallorossi che poi, senza girarci più di tanto, è stato il vero fattore decisivo per il passaggio del turno. Dai centrali, praticamente insuperabili nell’uno contro uno, al filtro operato da centrocampisti e attaccanti, tutti hanno dato il loro contributo per arrivare all’obiettivo più grande. Al primo posto, c’è stato il sacrificio dei singoli per la gioia comune, non le aspirazioni personali che conducono solitamente a una gloria momentanea, non alla felicità di un popolo. Riuscire a vincere l’Europa League, dopo aver già vinto la Conference un anno prima, sarebbe un traguardo veramente invidiabile ed epico. Potrebbe dare uno slancio in più nel proseguo del progetto societario, nelle ambizioni della dirigenza e dei tifosi. Insomma, sarebbe veramente importante sconfiggere anche il Siviglia e arrivare ad alzare il trofeo, ma non dobbiamo essere noi a presentarvi il valore di una partita del genere.
La speranza di Mourinho è quella di recuperare gli uomini migliori e lasciarsi alle spalle le assenze che finora hanno caratterizzato la parte finale della stagione. Dybala darà tutto e avrà come rodaggio il campionato per farcela, ma non è l’unico che al momento preoccupa lo staff medico e l’allenatore. Chris Smalling è tornato a disposizione, anche se non è al massimo, lo stesso destino è toccato a Georginio Wijnaldum che ha dato una svolta al rendimento del centrocampo giallorosso nelle settimane precedenti il nuovo infortunio. Presto toccherà anche a Stephan El Shaarawy, uomo fondamentale per Mourinho grazie alla sua duttilità, dato che può essere schierato sia come esterno di centrocampo a cinque sia come fantasista. I giorni ci sono per essere al massimo, ma ciò che più rassicura la Roma è la mentalità che il tecnico portoghese è riuscito a forgiare e che è già sinonimo di successo.
SIVIGLIA-JUVENTUS 2-1 (dts) – Si riparte dal gol di Federico Gatti, quello che ha pareggiato i conti all’ultimo istante nel match d’andata. La paura di arrivare al ritorno in Spagna, in un’autentica bolgia di tifosi, attesa e grinta, è stata concreta fino all’ultimo minuto, fino a quando la fisicità e il fiuto del difensore bianconero, nuovo bomber di coppa, non ha avuto la meglio. Un 1-1 è un buon margine per pensare di qualificarsi, ma la sensazione è che possa regnare l’equilibrio fin dai primi scampoli della sfida d’andata. Probabilmente deriva dalla conformazione tattica delle due squadre.
La Vecchia Signora è stata costruita come un gruppo che si dedica alla difesa e alla fase difensiva, prima cosa di tutto. Anche in quest’edizione dell’Europa League, abbiamo visto molte volte i ragazzi di Allegri retrocedere, aspettare bassi gli avversari e poi trovare gli spazi necessari per offendere attraverso la loro qualità dalla trequarti in su con l’istinto dei singoli attaccanti o con la fantasia di Angel Di Maria, Federico Chiesa o anche attraverso il lavoro degli esterni nell’uno contro uno, a partire da Juan Cuadrado e Filip Kostic soprattutto. Il Siviglia, invece, è una compagine che non ha calciatori totali, perfetti in ogni fase e che non si occupa così tanto di serrare la porta a doppia mandata a costo di perdere nella loro pressione offensiva. È una squadra ben diversa che ama mantenere l’intensità alta e il possesso del pallone per più tempo possibile, per poi arrivare alla soluzione personale o all’assist decisivo per il centravanti. In Europa League, però, dà anche qualcosa in più, visto che in campionato le cose non sono andate benissimo e sicuramente non come ci si poteva aspettare a inizio anno.
La partita tra Siviglia e Juventus, fin dal suo inizio, si configura esattamente come ci si aspettava, dato che gli spagnoli fanno la partita senza lasciare troppo spazio alla difesa, ma effettuando ogni contrasto con grande aggressività. I bianconeri, di conseguenza, si chiudono con grande applicazione e lasciando solo conclusioni dalla distanza ai padroni di casa. La strategia dei torinesi inizialmente sembra anche dare i suoi frutti, soprattutto perché la maggior parte dei duelli vengono vinti proprio dagli ospiti e non dai padroni di casa. A dispetto dell’andamento della partita, però, le occasioni arrivano da entrambe le parti: Angel Di Maria spreca una buona opportunità, ma il più pericoloso tra i bianconeri è sicuramente Adrien Rabiot che con i suoi inserimenti si fa vedere spesso e volentieri dalle parti di Bono, senza troppa precisione. Il francese va spesso a corrente alternata, ma con i suoi strappi trova delle occasioni e dei varchi nelle marcature preventive degli andalusi che altrimenti non sarebbero stati così semplici da creare. In più, il suo aiuto risulta fondamentale anche in copertura, permettendo ai suoi difensori centrali di avere un uomo in più nel seguire gli inserimenti avversari e senza troppi patemi.
Il Siviglia, però, non si arrende e cerca con la sua manovra accerchiante di trovare gli spazi giusti per riuscire a far male alla Juventus, ma spesso si deve accontentare di tiri dalla distanza piuttosto velleitari o cross che non fanno troppo male ai bianconeri. L’unico ammonito del primo tempo è Moise Kean, che non riesce a creare grossi pericoli alla difesa avversari. Anzi, il centravanti italiano, la mossa a sorpresa di Allegri, è in ombra per lunghi tratti, con poca cattiveria nella protezione del pallone e senza trovare gli allunghi nell’uno contro uno per cui il tecnico livornese probabilmente l’ha scelto a dispetto di Vlahovic. Dopo il 40esimo, arriva anche un infortunio per il tecnico ex Cagliari che deve fare a meno di Nicolò Fagioli dopo un duro contrasto con Gudelj che lo mette fuori dai giochi. Lo staff medico, dopo un controllo veloce, indica subito che è necessario il cambio, facendo intendere che il contrasto è stato molto duro e le conseguenze traumatiche anche. Solo dopo la partita si capirà che per il fantasista italiano è arrivata addirittura la frattura della clavicola. Al suo posto il tecnico livornese sceglie Leandro Paredes.
Nel secondo tempo, la partita si apre ed è soprattutto il Siviglia a farsi vedere dalle parti di Wojciech Szczesny con dei tiri dalla distanza che comunque il portiere polacco controlla senza troppi problemi. Sembrano solo i primi squilli di qualcosa di più grande, soprattutto della volontà dei padroni di casa di arrivare in tutte le maniere alla porta bianconera. La Juventus opera anche diverse sostituzioni: Allegri sceglie dalla panchina Dusan Vlahovic al posto di Kean, ma anche Federico Chiesa al posto di Angel Di Maria, particolarmente spento questa sera e molto arrabbiato al momento del cambio. Poco male per i bianconeri che pochi minuti dopo sfruttano gli spazi lasciati dagli indecisi centrali avversari e con l’attaccante serbo abile a saltare Bono con un bel tocco sotto porta in vantaggio i suoi. Sembra un gol decisivo per raggiungere la qualificazione, ma il Siviglia ha ancora tanto da dare a questa partita. Non passa molto, infatti, dalla rete del pareggio. Chiesa perde una brutta palla nei pressi della sua area di rigore e la conduzione dei padroni di casa arriva direttamente da Suso: l’ex Milan fa una finta e poi scarica di sinistro un pallone che diventa imparabile per Szczesny. Il gol è bellissimo e fa ricordare i suoi migliori sprazzi in Serie A. Probabilmente anche qualche rimpianto per un mancino educato e un dribbling eccellente, ma che non ha avuto molta fortuna nel suo percorso in Serie A.
Il pressing del Siviglia non si ferma qui, anzi gli spagnoli continuano ad attaccare e a creare occasioni da gol. Sono bravi, però, i bianconeri a resistere, senza neppure concedere troppo e si va dritti ai tempi supplementari. La partita sembra bloccata oltre il 90esimo minuto, probabilmente destinata ai calci di rigore, ma i padroni di casa, con la spinta del loro pubblico, trovano il modo di cambiare ancora il risultato. Quando il gioco riprende, la Juventus deve ancora subire l’iniziativa del Siviglia e il gol partita, quello di Erik Lamela. L’ex Roma, dal suo ingresso in campo, ha praticamente cambiato la partita: è lui a ispirare praticamente ogni azione offensiva, piazzandosi nelle zone centrali del campo e lanciando la manovra dei suoi con una serie importante di dribbling nello stretto, la capacità di creare la superiorità numerica e di ripulire una serie sempre più importante di palloni. Come dicevamo, è sempre Lamela a segnare il gol decisivo. Infatti, l’argentino si inserisce alla grande di testa sul primo palo e non lascia scampo a Szczesny, spesso bersagliato dalle continue incursioni avversari e dai tiri da ogni lato che arrivavano dal Siviglia.
La Juventus, a questo punto, non può restare a guardare e, quindi, si proietta totalmente nella metà campo avversaria cercando di passare soprattutto attraverso le corsie laterali per poi arrivare all’interno dell’area di rigore e mettere in difficoltà gli andalusi con la fisicità e le qualità dei singoli. Le vere difficoltà degli spagnoli risiedono, infatti, nei due centrali difensivi che, quando vengono attaccati, denunciano qualche mancanza nell’uno contro uno e nella solidità. Gli attacchi dei bianconeri, però, non vanno a buon fine e i torinesi vengono eliminati dalla competizione, permettendo ancora una volta al Siviglia di arrivare in finale, dove avrà luogo la partita contro un’altra italiana, la Roma di Mourinho.
È stata una battaglia, insomma, di quelle dure e crude, probabilmente anche di calcio d’altri tempi, ma che alla fine ha visto prevalere loro in questo caso, e non noi italiani. Una beffa, in un certo senso, soprattutto se non si guarda alla storia complessiva del Siviglia negli ultimi dieci anni in questa competizione. Gli uomini di Mendilibar hanno espresso un calcio godibile, aperto e hanno avuto il coraggio di non snaturare la loro maniera di interpretare questo sport sia in fase offensiva, sia in quella difensiva. Se dalla trequarti in su molti calciatori li hanno pescati anche dalle bocciature della nostra Serie A, da Papu Gomez – entrato nei minuti finali – a Suso fino a Lamela, dietro, pur senza le qualità individuali che invece la Juventus ha di sicuro, la squadra ha interpretato il match con estrema aggressività riuscendo, di conseguenza, a vincere diversi duelli nei metri decisivi del campo e riuscendo a contenere attaccanti importanti come Kean e Di Maria, per lunghi tratti anche Vlahovic.
Un capitolo a parte lo merita il fantasista argentino. Proprio lui, la punta di diamante della rosa bianconera, quel talento puro chiamato a sostituire Dybala nel cuore dei tifosi torinesi, ha fallito l’appuntamento più importante della stagione juventina. Nel primo tempo, ha fallito un’occasione importante, che probabilmente in altri tempi e altri contesti non avrebbe sbagliato. In generale, fino al momento della sostituzione, è sembrato soffrire ancora una volta un posizionamento troppo lontano dalla porta e un atteggiamento della squadra abbastanza rinunciatario. Soprattutto un baricentro basso che è sinonimo di filosofia di Allegri e che mal si sposa con i maggiori uomini di talento offensivo. Anche perché di veri e propri contropiedisti la Juventus non ne ha, a meno che non si consideri tale Kostic, anche se decentrato sulla fascia sinistra e Kean, ancora luce a intermittenza nella sua esperienza bianconera. Il destino del Fideo, quindi, dopo questa sconfitta e questa prestazione negativa, ma soprattutto dopo una stagione piena di infortuni e che è stata proprio all’insegna dell’affidabilità e della continuità, pare segnato. Il suo contratto scade a fine anno e difficilmente, anche per il momento economico e societario che la Vecchia Signora sta vivendo, arriverà la firma sul rinnovo. Tutto finito, quindi? Sì e forse è anche giusto così per un acquisto che in partenza doveva essere uno dei craque dell’intero campionato e, invece, ha mostrato il suo volto più sbiadito e inconsistente.
Il match contro il Siviglia, allo stesso tempo, non dovrebbe cambiare le valutazioni su Vlahovic. Il centravanti serbo ha indubbie qualità tecniche e fisiche, ha un talento naturale e un fiuto per il gol che, se non è nel sangue, è molto difficile strutturare. Stasera ha segnato, e anche un bel gol che sarebbe potuto essere decisivo per il percorso europeo della squadra, ma non è abbastanza per riscattare una stagione che è stata per troppo tempo in chiaroscuro. La pubalgia ha influito non poco, questo è sicuro, ma non può essere una scusante per un calciatore giovane e arrivato a un prezzo molto alto che, in realtà, non ha mai fatto la differenza nel lungo periodo con la maglia bianconera. Anche lui, come Di Maria, è sembrato risentire tanto della lontananza dalla porta avversaria e spesso ha dato segnali di rabbia e insofferenza per alcune scelte del suo allenatore. La sensazione è che l’habitat che gli era stato creato attorno alla Fiorentina fosse molto più funzionale alle sue caratteristiche, soprattutto gli permetteva molto di più di occupare l’area di rigore e di giocare meno spalle alla porta, concludendo in maniera magistrale l’azione, invece. Anche se in questo caso ci sono molte meno certezze, l’estate potrebbe portare Vlahovic lontano da Torino e per diversi motivi. Non solo per le ragioni tecniche e tattiche che vi abbiamo appena spiegato, ma anche perché il centravanti potrebbe avere voglia di giocare fin da subito le coppe europee e, di contro, la Juventus potrebbe non potergliele garantire e potrebbe avere la necessità di incassare un bel gruzzolo di milioni per far respirare il bilancio. Filtra già che i bianconeri siano pronti ad ascoltare le offerte in arrivo per l’ex Fiorentina, ma questo lo scopriremo solo nelle prossime settimane.
Di certo, la stagione della Juventus doveva avere come punto di svolta proprio la partita di questa sera e, invece, la Vecchia Signora deve leccarsi ancora una volta le ferite per un obiettivo che sembrava alla portata e, invece, è stato fallito. In Coppa Italia era successa più o meno la stessa cosa, dato che i ragazzi di Allegri si erano arresi sempre in semifinale, ma in quel caso contro l’Inter. E ora ci sono veramente pochi elementi per salvare una stagione che sembra maledetta e non solo per i motivi di campo, ma perché il gioco non è mai decollato e i reati imputati alla dirigenza troppo importante per restare in secondo piano. Forse è proprio questo il momento giusto per una rifondazione profonda e concreta, forse sconfitte come questa non servono solo a piangere, ma a riemergere con motivazioni diverse e un nuovo piano tattico, forse più propositivo.
In molti mettono in dubbio, per l’ennesima volta, le capacità di Allegri, un tecnico che non ha nelle sue idee la voglia di mettere in piedi un’idea di calcio così offensiva e moderna, ma la fedeltà che negli ultimi mesi ha caratterizzato l’operato del tecnico livornese è stata talmente alta, esattamente come il suo contratto, che a questo punto è veramente difficile ipotizzare che possa arrivare una separazione. Anche perché trovare di meglio senza Europa sarebbe veramente difficile e l’allenatore ex Milan e Cagliari ha già lanciato il processo di crescita di molti giovani all’interno della società bianconera. Il futuro sarà il loro, ed è anche giusto così, ma il presente non è affatto roseo. Bisognerà rimboccarsi le mani per uscire dalle ceneri e tornare a vincere, ma siamo certi che la nuova dirigenza bianconera saprà come fare per indicare la retta via ancora una volta.
Le gioie per le italiane non arrivano solo dall’Inter e stasera anche dalla Roma, perché anche la Fiorentina è stata capace di superare il Basilea e conquistare la finale di Conference League. Bene anche il West Ham che vince anche in trasferta e sfiderà la Viola. Nella terza competizione Uefa, quella Conference League che nella sua prima edizione è stata vinta da un’italiana, la Roma, appunto, e che anche quest’anno potrebbe essere appannaggio di una squadra della nostra Serie A, la Fiorentina che è riuscita, infatti, a ribaltare l’1-2 dell’Artemio Franchi e si giocherà la finale del 7 giugno contro gli inglesi. Ecco come sono andate le singole partite.
AZ ALKMAAR-WEST HAM 0-1 – Forte del 2-1 (in rimonta) dell’andata, al West Ham basta anche un pareggio in Olanda contro la squadra che agli ottavi ha cacciato la Lazio dalla Conference League. Con meno possesso palla, con meno tiri, ma di fatto più incisivi, gli inglesi, che non navigano tanto in buone acque in Premier League, chiudono i giochi ufficialmente quando non c’è più tempo per nulla, o almeno non c’è tempo per l’AZ Alkmaar per riprenderli. È quindi Pablo Fornals, entrato al 75esimo, al 94esimo a regalare il biglietto per Praga alla squadra e ai tifosi di David Moyes.
Insomma, di tutte le partite che vi abbiamo raccontato in questo caldo giovedì europeo, sicuramente quella che ha avuto meno storia è stata proprio questa. Il West Ham ha mostrato una superiorità evidente per lunghi tratti e dominato in lungo e in largo nelle diverse fasi di gioco. Anche quando l’equilibrio sembrava avere la meglio, alla fine gli inglesi hanno coperto meglio la zona centrale e sofferto veramente poco gli attacchi avversari, meritando la finalissima di Conference. L’architettura di David Moyes, per quanto il campionato non sia stato memorabile, in Europa sta dando frutti piuttosto convincenti.
La squadra è stata allestita in un mix tra giovani e meno giovani che sta permettendo ai migliori interpreti in rosa di esprimersi al meglio e, di conseguenza, arrivare a un livello decisamente più alto rispetto a come li ricordavamo. Il discorso calza a pennello per Lucas Paqueta, uno che in Italia conosciamo bene per l’esperienza che l’ha visto come protagonista al Milan, ma che in rossonero ha avuto pochi acuti e tanto buio, fino alla cessione. Il percorso degli ultimi anni ha rivalutato del tutto un ragazzo dal talento evidente e che in Brasile è sempre stato trattato come un craque assoluto dell’universo verdeoro. Già agli ultimi Mondiali, dove ha messo lo zampino in alcuni risultati importanti dei suoi e ha trovato ampio spazio, ce ne siamo resi conto. Ora ancora di più perché è lui l’epicentro degli strappi degli inglesi e un calciatore di assoluto livello, di quelli che vanno tenuti d’occhio attentamente e costantemente per poi non rimpiangere i gol subiti. La Fiorentina dovrà prestarci particolare attenzione, ma vale anche per altri elementi decisivi nell’idea di calcio di Moyes.
Pensate a Fabianski, un portiere che è abituato agli appuntamenti importanti e che sa come incidere sul risultato quando chiamato in causa. Anche la linea difensiva è piena zeppa di fisicità ed esperienza a certi livelli, in perfetto stile inglese: Kurt Zouma lo conosciamo bene per i trascorsi al Chelsea e in molti giurano che possa disimpegnarsi al meglio anche in club di calibro ancora più alto, con un po’ di attenzione in più. Lo stesso discorso vale per Angelo Ogbonna, uno che con la maglia della Juventus ha vinto tanto, dopo essersi messo in evidenza con quella del Torino, ma che in Premier ha trovato una seconda casa che non vuole proprio lasciare. Come non citare poi il chiacchieratissimo Emerson Palmieri, un laterale mancino che alla Roma è cresciuto e si è preso la platea internazionale a suon di ottime prestazioni, ma che spesso ha dovuto fare a meno del campo a causa di tanti, troppi infortuni. È accostato al ritorno in Serie A da anni e nelle big migliori del nostro torneo, ma per ora se lo gode il West Ham e spera anche che possa essere decisivo.
E un ruolo di rilievo, ovviamente per quanto riguarda la fase offensiva, ce l’hanno sicuramente i vari Fornals, Lanzini, Cornet e poi le punte, Ings e Antonio. Si tratta di calciatori con caratteristiche tutte diverse, ma che amano svariare tra le linee, saltare l’uomo e creare continuamente pericoli. Non basterà una fase difensiva attenta per contenerli, servirà spezzare spesso la manovra degli inglesi e ripartire alle loro spalle, cercare di trovare i punti deboli del repertorio di Moyes e approfittarne. Il contropiede sarà di certo un’arma preziosa nella finale, ma l’impianto di gioco a centrocampo di Italiano dovrà avere la meglio. Solo così si può pensare di battere una squadra tanto organizzata e solida, che nella sua costruzione non denuncia evidenti punti deboli e che sa mascherarli molto bene.
Un discorso a parte lo merita il solo Ings, un centravanti vecchia maniera, dalle spalle larghe e dal cuore inesauribile. Uno di quelli che pensa che l’eleganza sia un valore sopravvalutato, almeno per come si comporta sul campo, preferendo invece la concretezza di chi porta a casa il massimo risultato. Non sappiamo se alla fine Moyes deciderà di schierarlo subito dal primo minuto per sfruttare le sue caratteristiche o se lo sfodererà a partita in corso, ma in una finale quelli così vanno tenuti particolarmente d’occhio e noi italiani, per le nostre storie e le nostre partite iconiche, lo sappiamo bene. Insomma, questo West Ham non è imbattibile, e lo dimostra il percorso in Premier League, ma non va assolutamente preso sotto gamba, perché il talento ce l’ha, l’organizzazione pure e può mettere tutti in difficoltà.
BASILEA-FIORENTINA 1-3 (dts) – A provarci c’era e c’è la Fiorentina di Italiano, la squadra che ha giocato più partite nell’arco di questa stagione, e la squadra che forse ne giocherà di più se riuscirà a sovvertire i pronostici e ribaltare quell’1-2 dell’Artemio Franchi che fa un po’ male, anche perché è arrivato in rimonta e davanti al pubblico di casa.
Rispetto alla partita di giovedì scorso, l’allenatore della Viola fa quattro cambi: se in porta c’è sempre Pietro Terracciano e sulle fasce ci sono a destra Dodo e a sinistra Cristiano Biraghi, al centro della difesa si opta oggi per Nikola Milenkovic e Igor. Anche sulla mediana a tre, c’è un cambio: non più Giacomo Bonaventura, Sofyan Amrabat e Rolando Mandragora, ma al posto di quest’ultimo Gaetano Castrovilli, che ha segnato anche nell’ultima partita contro l’Udinese e ha fatto un assist. Anche in attacco c’è una novità, perché oltre a Nico Gonzales e Arthur Cabral, Italiano sceglie di inserire dal primo minuto Josip Brekalo. Heiko Vogel, dal canto suo, con gli stessi undici che avevano vinto all’andata, si presenta anche al ritorno davanti al pubblico di casa.
A partire più agguerriti sono sicuramente gli ospiti che ci provano subito con l’argentino, ma è solo un modo per riscaldare il motore, ma dopo tanti tentativi, anche uno con un colpo di testa, Nico Gonzales riesce a sbloccare la partita al 35esimo su un corner e con un colpo di testa. È ancora la Fiorentina, sette minuti dopo a provarci con Bonaventura, ma il portiere degli svizzeri è attento.
Al ritorno dagli spogliatoi sono ancora gli italiani a provarci, ma a riuscirci è il Basilea con Zeki Amdouni che conclude in area dopo una bell’azione personale in cui Terracciano non può arrivare. È il 55esimo, ed è quasi una doccia gelata per Italiano e i suoi, che però hanno ancora del tempo per sperare di arrivare almeno ai tempi supplementari. Il gol, in effetti, è nell’aria, ci prova l’ex Milan, ma ci riesce al 72esimo di nuovo l’autore del primo gol, che stavolta si avventa su un pallone lasciato vacante in area e pareggia i conti tra andata e ritorno. La Fiorentina, però, non vuole giocare un’extra time, anzi vuole proprio chiudere la pratica prima, anche perché mercoledì si deve giocare una finale di Coppa Italia contro l’Inter, l’obiettivo fallisce e quindi ci sarà un’altra mezz’ora da giocare, trenta minuti intensi in cui sono sempre loro, almeno nella prima frazione e prima che l’arbitro sospenda la partita perché un tifoso della Fiorentina si è sentito male sugli spalti e ha bisogno di soccorsi.
La partita riprende dopo nove minuti, e come sempre continua il monologo viola, che però non è letale come dovrebbe specialmente con Luka Jovic, entrato al posto di Cabral, che tra l’altro è l’ex della gara. Ma al 129esimo no, perché Antonin Barak manda la squadra di Firenze in finale di Conference League, la manda a giocarsela a Praga il 7 giugno fiondandosi anche lui su un pallone in area e non lasciando scampo a Marwin Hitz che oggi ce l’aveva messa tutta per tenere a galla la sua squadra, non abbastanza per riuscire ad arrivare fino alla fine, e venendo pure graziata dall’ex Real Madrid, che quasi sullo scadere manda un pallone sul palo.
La Fiorentina, insomma, si è gettata oltre l’ostacolo e l’ha fatto facendo prevalere la naturalezza del suo gioco, la qualità che è insita nella sua maniera di vivere e vedere il calcio, ma anche semplicemente la volontà di non fermarsi proprio ora, dopo una Conference League in cui ha dimostrato di poter dominare praticamente contro tutti sotto il profilo tecnico e tattico. Lo stile di gioco di Italiano ha dimostrato di poter arrivare dove non è arrivato in Italia, almeno non sempre, e quindi a esprimere quelle caratteristiche tipiche del 4-3-3 che lui sa insegnare e i suoi sanno interpretare alla perfezione. Lo si è visto chiaramente contro il Basilea con una rimonta che in molti a quel punto non si aspettavano più, ma che alla fine si è concretizzata sulle ali della qualità, che probabilmente nel calcio moderno e non solo è il complimento più bello che si possa dedicare a una squadra.
Nonostante la Viola giocasse in trasferta, è stato evidente fin dalle prime fasi come le caratteristiche dei centrocampisti potessero portare i toscani a ribaltare veramente la situazione. La mediana ha fatto circolare il pallone velocemente, alzando con costanza il baricentro della squadra, ma cercando anche di portare più uomini possibile in area di rigore e, quindi, di arrivare puntualmente al tiro o almeno a cross pericolosi dalle corsie laterali. Le giocate di un campione, perché è giusto chiamarlo così, come Nico Gonzalez hanno poi fatto la differenza.
Il trequartista, fantasista – o beh chiamatelo un po’ come volete – argentino ey
La Fiorentina, insomma, si è gettata oltre l’ostacolo e l’ha fatto facendo prevalere la naturalezza del suo gioco, la qualità che è insita nella sua maniera di vivere e vedere il calcio, ma anche semplicemente la volontà di non fermarsi proprio ora, dopo una Conference League in cui ha dimostrato di poter dominare praticamente contro tutti sotto il profilo tecnico e tattico. Lo stile di gioco di Italiano ha dimostrato di poter arrivare dove non è arrivato in Italia, almeno non sempre, e quindi a esprimere quelle caratteristiche tipiche del 4-3-3 che lui sa insegnare e i suoi sanno interpretare alla perfezione. Lo si è visto chiaramente contro il Basilea con una rimonta che in molti a quel punto non si aspettavano più, ma che alla fine si è concretizzata sulle ali della qualità, che probabilmente nel calcio moderno e non solo è il complimento più bello che si possa dedicare a una squadra.
Nonostante la Viola giocasse in trasferta, è stato evidente fin dalle prime fasi come le caratteristiche dei centrocampisti potessero portare i toscani a ribaltare veramente la situazione. La mediana ha fatto circolare il pallone velocemente, alzando con costanza il baricentro della squadra, ma cercando anche di portare più uomini possibile in area di rigore e, quindi, di arrivare puntualmente al tiro o almeno a cross pericolosi dalle corsie laterali. Le giocate di un campione, perché è giusto chiamarlo così, come Nico Gonzalez hanno poi fatto la differenza.
Il trequartista, fantasista – o beh chiamatelo un po’ come volete – argentino è riuscito a prendere per mano i suoi e a portarli al massimo della loro concretezza proprio nella serata più importante, quella che valeva una finale europea voluta e molto sentita, difficile da calibrare anche per i tifosi più sereni e ansiosi. Le sue qualità e la sua grinta sono un connubio difficilmente arginabile per qualsiasi retroguardia. Italiano è stato bravo a trovargli il giusto posizionamento in campo, lui ancora di più a capire dove e come fare male al Basilea e a comportarsi di conseguenza. Il suo stile di gioco è chiaro ormai a livello mondiale, visto che da tempo è entrato anche nel giro della Nazionale argentina. Ama avere il pallone tra i piedi, seminare avversari, ma diventa veramente letale quando può vedere la porta e calciare con il suo mancino. Italiano gli ha dato in più la tattica, la possibilità di implementare il suo repertorio con inserimenti puntuali in area di rigore e per questo ci scappa anche qualche gol di testa che male non fa e che l’ha già portato ad acquisire valutazioni molto alte per il suo cartellino.
Di certo, la sua cifra tecnica è stata l’elemento essenziale che ha permesso alla Viola di gettare il cuore oltre l’ostacolo, soprattutto di battere un avversario che molti avevano sottovalutato e, invece, ha espresso dei valori tecnici veramente importanti. Alla fine è servito anche dell’altro. Un una serata in cui le punte non hanno segnato, ma hanno comunque tenuto occupato i difensori centrali con la loro pressione sfiancante, la differenza alla fine l’ha fatta, almeno per quanto riguarda il gol decisivo, Antonin Barak. Il trequartista ex Verona è stato spesso criticato durante questa stagione per le prestazioni offerte.
Durante lo scorso anno in Serie A ha segnato molti gol mostrando ottime capacità al tiro, nell’inserimento e soprattutto grazie a un tempismo innato nell’entrare in area di rigore, che poi è la dote principale che si richiede a calciatori con le sue qualità. Passato alla corte di Italiano si pensava che avrebbe dato ancora di più alla causa, soprattutto ci si aspettava che sarebbe stato un elemento inamovibile nello scacchiere dei toscani. In realtà, così non è stato, non in un primo momento. È stato importante adattarsi, capire bene i movimenti e la relazione con meno spazi da attaccare davanti. Solo nella seconda parte di stagione stiamo vedendo il vero Barak sia al dribbling, sia per quanto riguarda le conclusioni e le giocate sulla trequarti e ora l’allenatore può godersi i frutti del suo lavoro come tutti i tifosi. Un gol del genere, così pesante e arrivato durante i tempi supplementari di una semifinale europea, ripaga di tutto. Ripaga degli sforzi, delle orecchie costrette ad anestetizzarsi alle critiche, ripaga anche i milioni spesi per averlo in squadra. E senza troppi dubbi sul futuro.
Insomma, la macchina di Italiano non sarà perfetta, soprattutto in fase difensiva, ma c’è da essere orgogliosi per quanto costruito, per l’identità tremendamente offensiva e coraggiosa che il tecnico è riuscito a conferire al gruppo, per la volontà di attaccare sempre, a costo di subire un gol in più, e anche per i risultati nelle coppe, che poi sono sempre la cartina tornasole nel calcio e per chi gioca a calcio. La Fiorentina è la terza finalista italiana in tre competizioni europee in questa stagione, andrà a Praga, potrà giocarselo questo trofeo e tornerà a vivere quelle emozioni meravigliose e intense. È giusto così, come nella vita: chi ha ben seminato, ha ben raccolto e Italiano può dire di averlo fatto al meglio, anche se poi il suo futuro sarà in una big ancora più grande. Quindi, per un attimo in un calendario colmo e congestionato di impegni, ci si può anche fermare e dire di avercela fatta e di aver fatto la cosa giusta. Per la Viola è così e tutta l’Italia può esserne orgogliosa, almeno per una volta, oltre il tifo, le bandiere e le rivalità.
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