La corsa sotto la sua curva, la Nord, e il bacio allo stemma sulla maglia per Alessio Romagnoli, il sorriso che ha illuminato Marassi con i compagni che lo travolgevano per Matteo Pessina: il calcio, insomma, nella sua espressione più romantica.
Una liberazione, una rinascita o semplicemente una catarsi per due giocatori che hanno una storia simile, e che va anche in contrapposizione con il mondo del pallone come lo stiamo vedendo negli ultimi anni. Perché segnare un gol con la divisa della squadra che ami vale molto di più: dei soldi, delle proprietà straniere, dei nomi blasonati. Significa essere riusciti a esaudire il sogno che si aveva fin da bambini, quando per la prima volta si è presa a calci una palla, o quando per la prima volta si è andati allo stadio.
Il 24esimo minuto del primo tempo di Lazio-Spezia il sogno di un bambino, ora diventato un ragazzo, è diventato realtà, una bellissima realtà, quasi un miracolo. Che si è ripetuto all’undicesimo minuto di Sampdoria-Monza.
Nel pomeriggio di calcio che ha visto la prima arbitra donna dirigere una gara di Serie A, che ha portato all’esonero di Marco Giampaolo, in cui Erling Haaland ha segnato una tripletta nel derby di Manchester davanti agli occhi di Cristiano Ronaldo, seduto in panchina, i gol di Alessio Romagnoli e Matteo Pessina vanno oltre e ci riportano a quella che è l’essenza, la spinta primordiale del mondo del pallone.
Perché i gol di Alessio Romagnoli e Matteo Pessina sono le reti di due tifosi che hanno segnato con la maglia della squadra che amano da sempre, da quando per la prima volta hanno dato un calcio a una palla, da quando per la prima volta hanno visto una partita a casa, allo stadio. Sono le marcature di due giocatori che hanno fatto scelte di cuore, a volte difficili da capire per chi pensa solo i soldi, dopo trattative estenuanti. Sono i gol di due giocatori che potremmo essere noi, che invece li guardiamo e basta, dagli spalti o da un divano.
E quindi la corsa a perdifiato sotto la curva Nord, il bacio allo stemma della Lazio del difensore biancoceleste, il sorriso di liberazione del centrocampista del Monza mentre si libera dall’abbraccio dei compagni sono esultanze anche un po’ nostre. E ci piacciono più delle altre.
Storie che non iniziano ieri, anzi partono da lontano. Quando, tornati a casa dopo i primi allenamenti, non si riusciva proprio a mollarlo quell’oggetto sferico che racchiude in sé semplicemente la gioia. Dalle prime partite con sopra la maglietta del cuore, di cui essere orgogliosi e con cui avere la schiena un po’ più dritta, da mostrare a parenti e amichetti, per prendersi anche un po’ in giro.
Oggi Romagnoli e Pessina sono cresciuti e il loro sogno l’hanno realizzato, anche un po’ di più il 2 ottobre 2022. E non stiamo parlando di interpreti a caso per il calcio italiano, basti ricordare che pochi mesi fa il difensore centrale ha alzato al cielo la coppa dello scudetto con il Milan, tra balli, urla e feste durate giorni. Mostrando con orgoglio la fascia da capitano ben stretta sul braccio.
Nessuno si azzardi neanche a sottovalutare Pessina, un centrocampista tuttofare che fa di corsa, contrasti e tatticismo il suo pane quotidiano e che si è rivelato decisivo per Roberto Mancini nella vittoria degli Europei. Un elemento prezioso, uno di quelli che ogni allenatore adora, ma che, nella folta selva di centrocampisti a disposizione di Gian Piero Gasperini, all’Atalanta, si era un po’ smarrito. E sicuramente aveva perso il posto da titolare.
Non serve guardare molto indietro nel tempo per tornare a quando quel sogno si è realizzato con delle firme sui contratti e delle foto di rito che significavano molto di più, per i diretti interessati quanto per i tifosi. Era il 12 luglio dell’estate appena trascorsa quando Alessio Romagnoli vestiva ufficialmente la maglia biancoceleste, inondato dai cori e dall’affetto dei tifosi.
Una liberazione, per tanti motivi. Perché, per uno come lui, la Roma, che l’ha scoperto e lanciato nel calcio che conta di più, era un compromesso di quelli che da piccolino non accetteresti. Con tanti ringraziamenti, per carità. E comunque non faceva nulla per nasconderlo. Cresciuto con l’idolo di Alessandro Nesta in testa e nel cuore, il difensore centrale nato ad Anzio non ha avuto una minima esitazione a preferire la Lazio, quando ha capito che il contratto con il Milan non sarebbe stato rinnovato. Anche quando Claudio Lotito e Igli Tare giocavano al ribasso sull’ingaggio, protraendo la trattativa per lunghe e interminabili settimane; anche quando dall’estero, e dal Fulham in particolare, le offerte allettanti arrivavano ed erano anche più alte.
Lasciatecelo scrivere: ha fatto bene. E non solo per questioni di tifo, ma perché nel calcio contano anche il gruppo, lo spogliatoio, gli allenatori e la tattica. Tutti fattori che, fin da subito, hanno mostrato quanto funzioni il matrimonio tra Romagnoli e la Lazio. Leader senza fascia, il centrale classe 1995 ha ridato forma e senso alla retroguardia biancoceleste, e questo per la guida tecnica conta anche più del gol realizzato. Non è un caso se, al secondo anno di Maurizio Sarri in panchina, i biancocelesti si trovano al terzo posto in classifica con solo cinque gol subiti in otto partite. Qualcosa è stato sistemato e la cura è stata somministrata prima nella testa nei calciatori, in quell’asse di squadra che è ancora più ricco e solido, poi nel campo. Alchimia, essenzialmente.
La storia di Matteo Pessina è un po’ diversa in questo, ma non così tanto. A lui sono stati assegnati tutti i gadget del simbolo, del capobranco, in una squadra come il Monza che per la prima volta è arrivata a confrontarsi con la Serie A e, quindi, aveva maledettamente bisogno di gente come lui. È vero, le prime settimane nella massima categoria italiana hanno portato solo sconfitte e nessuno ha potuto realmente brillare, ma il ribaltone in panchina con l’arrivo di Raffaele Palladino, scelto a sorpresa e in maniera convinta dalla società, ha portato un cambio di passo evidente.
I brianzoli hanno battuto la Juventus tra le mura amiche, senza subire gol, e ieri hanno fatto il bis, anche se è stata più una scorpacciata. Uno 0-3 in casa di una malconcia Sampdoria, in cui Pessina ha aperto le marcature, ma ha fatto anche molto di più. Il centrocampista è un elemento imprescindibile del gioco di Palladino, posizionato da finto trequartista in un 3-4-2-1, in cui tutte le sue migliori doti sono valorizzate. Soprattutto il tempismo e la cattiveria agonistica di inserimenti letali che sono sempre difficili da contenere per le difese avversarie. Colley e Murillo ne sanno qualcosa. La quadratura, anche grazie alla sosta per le Nazionali, è stata finalmente trovata, in attesa della prova della continuità. Due vittorie consecutive, però, sono ossigeno puro per chi lotta per la salvezza e il Monza ha capito di aver fatto la scelta giusta. Perché Pessina è il cuore di una maglia tutta rossa, ma è anche il calciatore totale, indispensabile per spogliatoio e campo. Quello che va anche oltre le posizioni in campo e te lo ritrovi un po’ ovunque a far funzionare tutti gli ingranaggi. E con l’orgoglio di chi ha messo davanti i sogni da bambino.
Il volto di una madre che ha perso una figlia racconta spesso più di mille…
Un silenzio solenne avvolgeva le strade, rotto solo dal suono cadenzato dei passi e dal…
Ci sono momenti in cui sembra impossibile mantenere la concentrazione. La mente vaga, le distrazioni…
La stagione fredda porta con sé molte domande sulla routine quotidiana, ma c’è un gesto…
Se c'è un momento in cui tutto sembra sospeso, è quando un atleta raggiunge un…
Il riscaldamento a pavimento è una delle soluzioni più moderne e apprezzate per il comfort…