C’erano una volta degli atolli corallini nel mare del sud-est asiatico. C’erano perché oggi ci sono sabbia e cemento al loro posto, ‘vittime’ di una guerra di posizione sui mari condotta dalla Cina, che ha deciso di costruire avamposti militari laddove un tempo sorgevano Mischief Island e la gemella Fiery Cross Island, esempi semisommersi di barriera corallina, due atolli oltretutto contesi visto che sono situati al centro dell’arcipelago delle Spratly, rivendicato oltre che dai cinesi anche da Filippine, Vietnam, Taiwan, Brunei e Malaysia. La tensione è tornata a salire alla fine del mese di maggio 2015, quando al summit sulla sicurezza di Singapore il ministro della Difesa americano Ashton Carter ha chiesto alla Cina di ‘fermare immediatamente e permanentemente i lavori contrari sia al diritto che alle norme internazionali‘ di costruzione di isole artificiali e allo schieramento su queste ultime di forze militari.
I cinesi hanno dato inizio sin dal 2012 alla loro strategia delle isole artificiali, ma ora la loro conquista del mare sta diventando un caso politico internazionale: secondo l’intelligence Usa i cinesi stanno costruendo sul mare una grande muraglia di sabbia e cemento, e le foto dei radar svelano la presenza sugli isolotti di torrioni, installazioni radar, impianti per la produzione di cemento che verranno sfruttati per l’ulteriore sviluppo del progetto. Il governo di Pechino sostiene che quello che stanno costruendo è una rete di rifugi anti-tifone, fari, centri di ricerca e soccorso, e stazioni meteo che saranno utili a tutti, mentre per gli Usa ‘entro dieci anni la Cina completerà la transizione da una marina costiera a una forza navale capace di compiere missioni in tutto il mondo‘, sostenendo che le ex barriere coralline verrano utilizzate come base di appoggio e rifornimento per la già numerosa flotta cinese.
Al di là della contesa diplomatica e delle strategie militari in essere, vogliamo focalizzare l’attenzione sullo scempio ambientale che sta avvenendo nel mare asiatico. A Fiery Cross Island le foto dei satelliti occidentali hanno rilevato la presenza di moli e di una striscia di cemento lunga 3 chilometri e larga 300, e d’altronde che le isole Spratly fossero molto più che un semplice insieme di atolli, facendo gola alle speculazioni economiche di molte compagnie internazionali oltre che dei governi, è cosa nota almeno dal 1968, quando il Ministero per le Risorse Geologiche Cinese stimò che l’arcipelago contenesse 17,7 miliardi di tonnellate di petrolio. Da allora le contese di sovranità su questo arcipelago non sono mancate, e solo negli ultimi 18 mesi la Cina ha reclamato per sé oltre 800 ettari di territorio, più di tutti gli altri pretendenti messi insieme e più di quanto mai accaduto fino ad oggi in tutta la storia della regione: quella degli avamposti militari è solo l’ultimo capitolo di un coacervo di interessi, in cui l’ambiente figura tristemente all’ultimo posto.