Chiunque sia stato avvolto nella Sacra Sindone ha subìto pesanti torture. L’ultima grande novità sul reperto più discusso e studiato arriva dallo studio ‘Atomic resolution studies detect new biologic evidences on the Turin Shroud‘ (Nuove evidenze biologiche rilevate da studi di risoluzione atomica sulla Sindone di Torino), pubblicato sulla rivista americana PlosOne. Lo studio ha coinvolto due Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche, l’Istituto Officina dei Materiali (Iom-Cnr) di Trieste e l’Istituto di Cristallografia (Ic-Cnr) di Bari, oltre al Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova ed è stato reso possibile grazie alle ultime novità nel campo della microscopia elettronica a risoluzione atomica che hanno permesso di scoprire un particolare inedito e molto importante.
La Sindone di Torino è un telo di lino che reca impressa l’immagine di un uomo con ferite compatibili con quanto raccontato dai Vangeli sulla passione di Gesù: la tradizione cristiana la identifica come la Sacra Sindone, cioè il lenzuolo in cui fu avvolto il corpo di Cristo dopo la crocifissione.
Custodita dal 1578 nel duomo di Torino, è da sempre al centro di un grande dibattito scientifico. Nel 1988 vennero annunciati i risultati della datazione al carbonio sulla Sindone eseguiti da tre laboratori indipendenti (Oxford, Zurigo e Tucson): in tutti i casi l’analisi del tessuto diede un’età compresa nell’intervallo 1260-1390 d.C.
Le incongruenze riscontrate negli anni successivi però hanno continuato ad alimentare il dibattito scientifico che ora, grazie alle nuove tecnologie, ha un nuovo elemento.
Lo studio ha preso in esame una fibra di lino estratta dall’impronta dorsale nella regione del piede, riscontrando la presenza di creatinina, di dimensioni fra 20 e 90 nanometri, dovute a piccole particelle di ferridrato di dimensioni fra 2nm e 6nm, riscontrabili solo con nuovo metodo di microscopia elettronica in trasmissione a risoluzione atomica e diffrazione di raggi x ad ampio angolo, come ha spiegato Elvio Carlino, dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi che ha guidato lo studio.
“Il tipo, la dimensione e la distribuzione delle nanoparticelle di ossido di ferro non possono essere riprodotti con della pittura ma sono nuclei di ferritina“, si legge nell’abstract dello studio. “Il legame costante delle particelle di ferridrato alla creatinina si verifica nell’organismo umano in caso di grave trauma multiplo“, continuano gli studiosi.
Per questo la loro presenza sul tessuto dimostra che il telo venne usato in uno “scenario di violenza“, confermando che chi venne avvolto subì pesanti torture e dando “una spiegazione per alcuni risultati contraddittori finora pubblicati“.