Salvatore non è come Giusi, ma la retorica è la stessa

Sulle pagine del Messaggero Veneto, oggi, è apparsa un’altra storia simile a quella di Giuseppina Giugliano, la bidella pendolare che ha indignato e commesso il web. Il protagonista, stavolta, è Salvatore Sorrentino, napoletano di 36 anni, che ogni settimana affronta un viaggio della speranza molto simile a quella della sua concittadina che ogni giorno prende il treno per recarsi al lavoro a Milano perché, ha detto, risparmia dei soldi rispetto ad affittare una casa nel capoluogo lombardo (ammesso che Giugliano abbia detto la verità, chiaro).

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Un ragazzo che aspetta un treno – Nanopress.it

In realtà, tra le due storie ci sono delle differenze. Innanzitutto, Salvatore si sposta dall’ombra del Vesuvio per Pordenone, dove lavora solo sei ore a settimana (il sabato) in una scuola, l’Isis Mattiussi-Pertini della cittadina friulana, il venerdì e torna a casa la domenica, prendendo di tanto in tanto anche una stanza in cui dormire se l’aereo, il treno o l’autobus che utilizza arriva in anticipo rispetto alla solita tabella di marcia che non prevede il riposo, un lusso di questi tempi. Poi, come lui stesso ha spiegato, l’ha fatto sorridere quando ha letto la storia di Giusi, perché di fatto sa cosa significhi viaggiare per lavorare.

Non solo, il suo sacrificio, perché è di questo si tratta, è finalizzato al fatto che l’anno prossimo, si augura, avrà un posto a tempo indeterminato, e magari più vicino a casa sua, chissà. Al momento, infatti, i 200 euro che guadagna da bidello gli servono a coprire le spese degli spostamenti, e a volte manco bastano, e quindi non è quello che lo muove, piuttosto spostarsi da Napoli a Pordenone ogni weekend è necessario per accumulare punteggio per poter avere un contratto stabile. Quello di ora scade il 30 giugno, ed è così da quattro anni.

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Giuseppina Giugliano, detta Giusi, la bidella pendolare che ogni giorno si fa Napoli-Milano e ritorno per andare a lavoro – Nanopress.it

Al di là delle differenze, però, ci sono anche tante analogie tra Salvatore e Giuseppina, e non riguardano solo il fatto che entrambi inseguono orari, corrono e si muovono su e giù per l’Italia come se fosse normale. Riguardano, piuttosto, la retorica distruttiva di una società che si basa tanto sul posto fisso – e con buona pace di Mario Monti che da premier lo aveva definito “monotono” -, quanto sull’ottenere qualcosa solo ed esclusivamente attraverso il sacrificio, appunto.

Lo stesso racconto di eroismo/divismo, infatti, lo si è fatto con Carlotta Rossignoli, brillantissima (?) ex studentessa di Medicina che si è laureata in tempo record rinunciando anche a dormire, e lo si è fatto anche con Giugliano, sacrificata all’altare della critica come modello di abnegazione (o forse di denuncia per i prezzi proibitivi degli affitti a Milano). E ora lo si farà anche con Sorrentino, la cui storia, è vero, non ha avuto la stessa cassa di risonanza mediatica – è arrivato secondo, dopo tutto.

Pensare che nella vita si debba vivere per lavorare, o peggio sopravvivere pur di lavorare è sbagliato da tutti i punti di vista, in primis perché dovrebbe essere il contrario, ma anche perché il lavoro non è tutto nella vita, non lo neanche lo studio, ovviamente. Lungi da noi far credere che non sia importante, che guadagnare, portare la pagnotta a casa o avere un’istruzione non sia fondamentale, altrettanto vero, però, è che accumulare, o risparmiare, o banalmente fare di tutto per arrivare a un traguardo che forse potrebbe essere ridimensionato se non ce la si fa non è sinonimo di eroismo, tutt’altro.

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Una studentessa che lavora su pc e appunti – Nanopress.it

C’è poi da considerare il fatto che chi invece non si prodiga in questi viaggi alla Ulisse, chi non sbatte la testa sui libri senza vedere amici, parenti, non concedendosi una vita da ventenne, chi non fa quattordici ore di fila al lavoro senza mai staccare la spina non può e non deve essere considerato un lavativo o un nullafacente, semplicemente ha capito che ci sono altre priorità oltre al dover macinare chilometri o soldi o divorare tomi per essere felici.

E ci sarebbe da chiederglielo, a questi eroi, se lo sono davvero, felici. Dal racconto del bidello pendolare tutto si capisce tranne che quello, ma forse è lui il primo che non si vede come il Superman della situazione. E allora: perché farli passare come tali?

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