Il leader della Lega Matteo Salvini, nonostante ostenti la solita sicurezza in campagna elettorale, si trova di fronte ad una difficile situazione che potrebbe estrometterlo da ruoli di peso nel governo e, forse, dal suo stesso partito.
I sondaggi in costante calo, la compagine meloniana in forte ascesa e i dirigenti storici del partito in subbuglio per lo scenario non roseo sono tutti campanelli d’allarme per il senatore milanese in vista del voto del 25 settembre.
Il primo fattore di preoccupazione è dato dall’andamento dei sondaggi: da quando Salvini ha preso le redini del partito nel 2013 trasformando la creatura nordista di Bossi in una formazione nazionale e nazionalista (oltretutto rifondata ex novo nel 2020), l’elettorato aveva premiato con entusiasmo crescente le politiche del leader di via Bellerio.
Il trend si è invertito dall’estate del 2019, da quella che è divenuta famosa come la “crisi del Papeete” e che nelle sue varie involuzioni ha prodotto il pronostico odierno. La Lega sarebbe difatti stimata intorno ad un 12-13% di consensi, secondo alcuni istituti di statistica addirittura poco al di sopra del 10%.
Come se non bastasse, non solo il gruppo del Capitano ha perso due terzi dei propri votanti, ma sarebbe stato sorpassato in modo irrimediabile da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, cosa che farebbe perdere al segretario milanese perfino la leadership della coalizione di Centrodestra.
Forse ciò spiega anche l’inversione della dialettica nei due gruppi di destra: assai più moderata e dialogante la deputata romana, vogliosa di accreditarsi come responsabile ed affidabile nei luoghi del potere decisionale italiano ed internazionale; molto più tranchant e spregiudicato del normale il secondo, fautore ormai di messaggi e opinioni politiche assai più estreme e destrorse (probabile strategia per riguadagnare consensi) di quelle propugnate, almeno ultimamente, da Giorgia Meloni.
Salvini non ha da temere per queste elezioni del 25 settembre solo l’arrembaggio di Fratelli d’Italia alla vetta del Centrodestra, è la stessa sua leadership all’interno del partito che potrebbe saltare (partito che dalla stessa rifondazione del 2020 porta per altro quale nome ufficiale “Lega per Salvini premier”).
I mugugni sono generati inevitabilmente dal tracollo elettorale, ma anche da quella che si percepisce come la perdita del favore delle roccaforti del Nord, il bacino di voti sicuro della Lega, il territorio nel quale il partito è nato, si è strutturato e dove tutt’ora esprime la maggior parte della classe dirigente locale.
Qualora anche in queste porzioni di Italia a spuntarla dovesse essere Fratelli d’Italia, tra i partiti del Centrodestra, non si esclude che l’incrollabile centralismo democratico finora messo in atto dalla Lega possa sgretolarsi ed i pretendenti al ruolo del Capitano farsi avanti a suon di carica.
Già da tempo circolano i nomi di due figure molto note che aspirerebbero, o le si vorrebbe vedere, alla guida del partito: Luca Zaia, governatore del Veneto, e Massimiliano Fedriga, omologo del Friuli-Venezia Giulia.
Queste le incognite che aleggiano nella testa di Salvini e della Lega e che solo le prime luci della mattina del 26 settembre, giorno successivo alle elezioni, potranno dissipare.
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