È una settimana difficile per la maggioranza di governo di Giorgia Meloni, e per la stessa presidentessa del Consiglio. Dopo l’incidente in commissione Bilancio al Senato che ha rimandato di qualche ora l’approdo del decreto Lavoro, con gli emendamenti, nell’aula di Palazzo Madama, adesso la leader di Fratelli d’Italia deve sbrigare la grana sulla ratifica del Mes. Da sempre contraria, infatti, la premier è messa con le spalle al muro dai vertici dell’Unione europea, che aspettano solo l’okay del nostro Parlamento, ma anche dalla Lega di Matteo Salvini, con il vicepremier che, anche oggi, durante il tour della campagna elettorale in Molise, ha ribadito il suo no al Meccanismo europeo di stabilità.
“Meglio il debito in mano agli italiani“, ha detto il segretario federale del Carroccio tenendo il punto rispetto a quello che ha sempre dichiarato di voler fare, anche contro il parere del ministero del Tesoro, guidato dal suo vice, Giancarlo Giorgetti, che invece non vede nessun rischio per l’Italia nella ratifica del Fondo salva Stati. E quindi sono ore incandescenti, tanto che, secondo quanto hanno raccontato dall’Ansa, il motivo dello slittamento del Consiglio dei ministri di ieri, in cui si sarebbe dovuto parlare della riforma del codice della strada di Salvini, sia dovuto anche alla distanza dei due leader e non ai “motivi personali” di Meloni.
La ratifica del Mes, il Meccanismo europeo di stabilità, sta continuando a mettere a dura prova la maggioranza di governo, e nello specifico il leader della Lega, Matteo Salvini, e la presidentessa del Consiglio, nonché numero uno di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Entrambi partiti, anche in campagna elettorale per le politiche del 25 settembre, con l’idea che non si debba accedere ai soldi messi a disposizione dal Fondo salva Stati, ora è come se viaggiassero su due posizioni differenti.
Da una parte c’è il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti che, nonostante anche il suo vice nel partito, Giancarlo Giorgetti, in qualità di titolare del Mef, abbia dato un parere favorevole alla ratifica – anche perché tirato dalla giacchetta dai suoi omologhi a Bruxelles -, ripete pure oggi il suo no, dall’altra la premier che sta studiando le mosse perché, pur andando contro i suoi dettami, non tradisca del tutto sé stessa, nel mezzo un malcontento che si è tradotto ieri nel rinvio di un Consiglio dei ministri in cui il segretario federale del Carroccio avrebbe dovuto recitare un ruolo da protagonista, approvando il nuovo codice della strada.
Ma andiamo con ordine. Mercoledì, poco prima che l’esecutivo andasse sotto in commissione Bilancio al Senato per la mancanza dei due senatori di Forza Italia per l’approvazione del pacchetto di emendamenti sul decreto Lavoro, nell’altro ramo del Parlamento una missiva del Tesoro sconfessava quanto professato da anni dal centrodestra: non c’è nessun rischio, per l’Italia, nel dare il via libera alla ratifica del Mes. Meloni sapeva che sarebbe arrivata, il ministro di Economia e Finanza anche, eppure qualcosa va storto.
Il 30 giugno il disegno di legge che darebbe l’approvazione è calendarizzato alla Camera. L’idea di base è quella di rimandare il rimandabile, almeno a settembre, e magari con le cose tra gli azzurri un po’ più chiare, ma l’Aventino al contrario della maggioranza non va a segno: anche senza i partiti che sostengono la presidentessa del Consiglio, che non partecipano ai lavori in commissione Esteri di Montecitorio, arriva il primo via libera per il testo a firma Partito democratico. È solo uno step dei quattro che lo attendono, ma è sintomatico, dice anche la segretaria dem, Elly Schlein, che qualcosa, appunto, non stia andando secondo i piani.
E non va secondo i piani, dicevamo, neanche il Cdm in programma alle 17. Se non si dovesse discutere di leggi regionali in scadenza salterebbero tutto, ma ci sono quelle, e quindi si fa. Dura poco, e non si discute neanche del commissario straordinario per l’Emilia Romagna – su cui pare Meloni e Salvini abbiano posizioni diverse. La bomba scoppia.
La premier, che in serata aveva incontrato la presidentessa del Parlamento europeo, Roberta Metsola, a Palazzo Chigi – anche lei, per altro, ha ribadito quanto sia fondamentale che tutti i Paesi della zona Euro ratifichino il fondo -, non rilascia dichiarazioni. Al posto suo, lo fa il suo vice leghista. In televisione prima, da Venafro, in una tappa del tour della campagna elettorale in Molise, poi.
“Per quanto riguarda l’Italia è il paese europeo che sta crescendo di più. I nostri grazie ai nostri imprenditori, ai nostri lavoratori“, inizia Salvini che poi butta il carico da novanta: “Non ritengo che ci sia bisogno di mettersi in mano a Fondi stranieri e a soggetti stranieri anche perché 600.000 italiani nei giorni scorsi hanno sottoscritto i buoni del tesoro per più di 18 miliardi di euro – dice -. Quindi io preferisco che le infrastrutture italiane, le scuole italiane vengano costruite chiedendo i soldi agli italiani e così il debito rimane italiano“. Il tutto quando anche il capogruppo del Carroccio alla Camera, Riccardo Molinari, ribadisce lo stesso e addirittura chiede alla ministra del Turismo, Daniela Santanché, di riferire in aula sull’inchiesta di Report sulle aziende a nome suo.
Ratificare il Mes, in ogni caso, non vuol dire accedere al prestito, che viene erogato solo in caso di problemi finanziari dei Paesi dell’Eurozona, e quindi è per questo che la leader di Fratelli d’Italia sta studiando le sue mosse. Secondo quanto hanno riportato dall’Ansa, sarebbero due le exit strategy: continuare a disertare le commissioni, e poi l’aula nel momento in cui si deve votare, strada difficilmente percorribile considerato che pioverebbero molte critiche sulla maggioranza, oppure proporre qualche emendamento che possa rassicurare sul fatto che il fondo salva Stati non sarà mai richiesto dall’Italia, quindi ponendo delle condizioni specifiche, come una maggioranza qualificata, per il via libera all’accesso.
E intanto le opposizioni continuano ad attaccare, perché non è solo dalle fila dei dem che si percepisce che qualcosa non vada, appunto.
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