Notizia falsa? Notizia farsa? Sicuramente non la prima, molto più probabile la seconda. Continua ad emergere una tela di rapporti poco chiari tra il leader della Lega e la diplomazia russa.
È ormai di alcuni giorni fa l’indiscrezione dell’intenzione di Matteo Salvini, capo politico del Carroccio, di recarsi a Mosca al fine di incontrare Vladimir Putin, con il quale concordare una pace risolutiva del conflitto in Ucraina.
L’ex Ministro dell’Interno del governo Conte I vive una situazione di progressiva emarginazione dal centro della scena mediatico-politica. E si sa, quando ad un teatrante si tolgono i riflettori, qualunque lampione è bastevole a ritagliarsi lo spettacolino quotidiano. Salvini, abituato ad una visione semplicistica del reale fatta di annunci tranchant, si dibatte a fatica in un contesto così complesso come quello attuale, in cui la compostezza istituzionale e la misurata accortezza comunicativa dovrebbero far da padroni.
Eppure se il senatore milanese ha abituato gli italiani ad uscite quantomeno dubbie, la questione che emerge in questi giorni appare più che altro inopportuna se non disdicevole.
Secondo vari pezzi sulla stampa nostrana, il “Capitano”, dopo Savoini e Morisi, avrebbe intrattenuto intensi rapporti con l’ex forzista Antonio Capuano, il quale avrebbe assunto il ruolo informale di consigliere per gestire l’agire politico del leader.
Affarista con appoggi e relazioni internazionali, Capuano si è fatto promotore di una serie di incontri, lo stesso ne ha dichiarati quattro, che hanno coinvolto per l’appunto Salvini e l’ambasciatore russo in Italia Sergey Razov. Il tutto sarebbe avvenuto all’insaputa del governo e del premier Draghi, il quale sulla vicenda si è limitato a ribadire la necessaria trasparenza che i rappresentanti istituzionali, specialmente in questo momento, sono tenuti ad esibire.
Secondo le indiscrezioni giornalistiche, che saranno poi oggetto di verifica e approfondimento da parte del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), i rendez-vous si sarebbero svolti sempre all’indomani dei principali snodi e decreti parlamentari inerenti la guerra ad est.
Il primo di questi è datato 1° marzo; l’ultimo, il più attenzionato, ha avuto luogo il 19 maggio, dopo la dichiarazione del Presidente del Consiglio riguardo l’esigenza di portare il capo del Cremlino ad accettare un tavolo di negoziati. Questo auspicio viene colto subito da Salvini e Capuano: il primo è da alcune settimane prodigo nel distanziarsi dalla linea, condivisa dall’Occidente, di sostegno allo sforzo bellico ucraino. Incasellando l’ennesima giravolta propagandistica, il capo del partito fondato da Umberto Bossi passa dalla legittimità della difesa individuale, contornata dalla quasi esaltazione dell’arma personale e del cittadino-giustiziere, all’uomo di pace a cui la vista di un’arma provoca nausea e paura.
All’interno di questa nuova veste sessantottina avviene l’incontro con l’ambasciatore russo Razov, col quale Salvini avrebbe imbastito gli estremi per un viaggio a Mosca dove incontrare Putin per presentare a quest’ultimo un irrifiutabile progetto di pace.
Tuttavia la fuoriuscita della notizia ha congelato il tutto, costringendo il leader di via Bellerio ad un dietrofront condito dalle solite vaghe giustificazioni mischiate ad inconcludenti attacchi di benaltrismo.
Governo e partiti non hanno celato frustrazione per l’operato dei due, Capuano e “Capitano”, ribadendo la necessità di non sfilacciare non solo la compattezza interna al Paese, ma lo stesso fronte internazionale impegnato a contrastare l’aggressione ingiustificabile e neo-imperiale dello zar del Cremlino.
Come sempre agli elettori l’ardua sentenza, nondimeno la pochezza politica e la ricerca spregiudicata del solo e mero consenso, senza una visione di lungo termine per la nazione, dovrebbero ormai essere sotto gli occhi di tutti. A questo punto, quando si voterà, meglio non tenere le palpebre abbassate.
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