La discussione nel centrodestra per le nomine dei prossimi ministri comporta già battibecchi e increspature nella maggioranza del probabile futuro governo, in particolare è il ruolo da assegnare a Salvini l’argomento più spinoso per la premier in pectore Giorgia Meloni.
Il Capitano, timoniere di un vascello che affonda e la cui ciurma sembra pronta all’ammutinamento, tenta la risalita nel consenso insistendo sulla volontà sua e di tutta la Lega di ritornare a svolgere il ruolo di ministro dell’Interno, ma la proposta sembra irricevibile per Fratelli d’Italia.
Dal lato del partito di Giorgia Meloni filtra irritazione, soprattutto per la goffa impellenza del segretario leghista. Meloni sta evidentemente cercando in questi giorni di mantenere un profilo basso, istituzionale, rispettoso dei tempi costituzionali.
Quindi nessuna affermazione riguardo governo, ministri o riforme, se non dichiarazioni brevi e circostanziate, finché il nuovo Parlamento non si sarà riunito e il Presidente della Repubblica Mattarella non le avrà affidato l’incarico.
Se questa è la linea seguita da Meloni, si comprende facilmente l’irritazione della deputata romana e di tutto il suo quadro dirigente di partito nel vedere il proprio principale alleato Matteo Salvini discutere invece già di figure da insediare nei vari dicasteri, come se il passaggio quirinalizio fosse una semplice convalida del ticket elettorale.
Ciò che più preoccupa la leader ex missina non è solo l’atteggiamento irrequieto e sfrontato del Capitano, bensì la sua insistenza sul seggio del Viminale. Per Meloni quella partita sembra chiusa: troppe le pressioni contrarie, a cominciare probabilmente da Europa e Quirinale, al reinsediamento di una figura così destabilizzante in un ruolo così delicato, visto oltretutto che su Salvini pende un processo aperto rimediato proprio nell’esercizio delle funzioni di ministro dell’Interno.
Inoltre Meloni è perfettamente consapevole che quella posizione sarebbe usata dal senatore milanese per condurre una campagna elettorale permanente sul tema dell’immigrazione che di fatto corromperebbe la tenuta di tutto l’esecutivo di centrodestra.
Meloni oscilla, come il pendolo di una famosa metafora, tra la disperazione di non poter scontentare del tutto Salvini e l’irritazione per la asfissiante richiesta di un ruolo, quello dell’Interno, che però non può essergli concesso.
Matteo Salvini sembra alla disperata ricerca di un incarico nel probabile futuro esecutivo di centrodestra che possa garantirgli quella visibilità fondamentale per ritrovare la sintonia con gli elettori e poter tornare quindi a crescere nei sondaggi.
Per questo la casella del Viminale, il luogo da cui nel primo governo Conte il Capitano seppe arruolare una ciurma amplissima di italiani da cui ottenne il 34% di preferenze alle votazioni europee del 2019, appare la banchina ideale da cui ripartire verso le alte acque dei consensi.
Del resto, nonostante il tracollo alle elezioni del 25 settembre, il quadro dirigente leghista ha riconfermato Salvini e sembrerebbe averne anche approvato la linea dura riguardo alle richieste da presentare alla alleata di coalizione Meloni in vista del nuovo governo.
In cima ai desiderata del partito di via Bellerio c’è appunto il ministero dell’Interno, da affidare inevitabilmente a Salvini; si ragiona comunque affinché il gruppo ottenga quattro dicasteri da scegliere nella rosa che la stessa Lega fa trapelare: Interno, Agricoltura, Infrastrutture, Riforme, Affari regionali, Turismo solo alcune delle proposte gradite al Carroccio.
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