L’Eni è coinvolta in un’indagine per corruzione internazionale, episodio che sarebbe da circoscrivere all’acquisizione di un giacimento petrolifero al largo della Nigeria. L’acquisto è avvenuto nel 2011 e ha riguardato un’area del valore di 1 miliardo e 300 milioni di dollari. I PM Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro hanno firmato un mandato, in seguito al quale i finanzieri del nucleo di Polizia tributario di Milano hanno notificato due atti presso la società energetica. Il primo era composto da un avviso di garanzia per responsabilità di tipo amministrativo. Il secondo consisteva in una richiesta di acquisizione di vari documenti, che riguardavano proprio l’accordo stipulato nel 2011 con il Governo nigeriano e tutte le trattative portate avanti, fra il 2009 e il 2010, con la società Malabu.
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Risultano indagati Gianluca Di Nardo, imprenditore legato ad un uomo d’affari che avrebbe svolto un ruolo di mediatore con i nigeriani, Roberto Casula (ex vicepresidente Eni per l’Africa e oggi capo dello sviluppo e delle operazioni), Emeka Obi, Luigi Bisignani, che avrebbe fatto da tramite per un canale preferenziale grazie all’appoggio dell’allora amministratore dell’Eni, Paolo Scaroni.
Le intercettazioni
L’indagine è iniziata attraverso delle intercettazioni che sono state acquisite dai PM milanesi. In queste intercettazioni emerge con chiarezza l’intervento di Bisignani sui vertici dell’Eni. Era proprio Bisignani che era stato intercettato al telefono con Scaroni e con Claudio Descalzi. L’amministratore delegato dell’Eni avrebbe partecipato a numerosi incontri con il mediatore Obi e sarebbe stato a Milano a cena con l’ex ministro nigeriano Dan Etete. Quest’ultimo deteneva la concessione Opl-245 dal 1998. Si tratta di un’area di ricerca e di esplorazione per i giacimenti petroliferi di grande importanza. Opl-245 sarebbe stata poi ceduta alla società Malabu, coinvolta anch’essa nell’inchiesta.
L’affare
Scaroni nel 2011 aveva dichiarato che la trattativa con Malabu non era andata a buon fine, invece l’affare era andato in porto con il Governo, ma sempre a beneficio di Etete, che avrebbe incassato 1 miliardo e 92 milioni di dollari. La trattativa si sarebbe conclusa alla fine dell’aprile del 2011. Sarebbero entrati in campo il mediatore Obi e il suo referente italiano Gianluca Di Nardo. Quest’ultimo avrebbe messo in pista Luigi Bisignani, il quale si sarebbe rivolto a Paolo Scaroni.
A proposito di Malabu, bisogna comunque specificare che, pur avendo ottenuto la concessione di Opl-245, in realtà, tramite dei prestanome, la concessione sarebbe rimasta legata ad Etete. Da ciò si intuisce come l’inchiesta si complichi con sfaccettature molto particolari. La concessione alla fine è stata ceduta ad Eni non da Etete, ma dallo stesso Governo nigeriano. Il tutto per 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Inoltre il Governo della Nigeria avrebbe ricevuto un bonus di circa 200 milioni di dollari da Shell, l’altra società petrolifera interessata all’affare con Eni.
Tutti questi particolari sull’affare sono emersi in seguito ad una causa civile che si è tenuta a Londra tra Malabu e la società dei suoi mediatori. La causa si è conclusa con la vittoria di Obi, che ha ottenuto il riconoscimento del diritto ad avere 110,5 milioni, che corrispondono al 7,5% dell’affare. La sentenza descrive nei dettagli la trattativa fra Etete ed Eni e il ruolo che avrebbe assunto l’allora direttore generale Eni Claudio Descalzi. Proprio quest’ultimo è stato intercettato dalla Procura di Napoli, mentre, il 14 ottobre del 2010, parlava dell’affare con Luigi Bisignani.
I documenti dell’inchiesta
Nei documenti dell’inchiesta i magistrati di Milano spiegano di ritenere Scaroni e Descalzi responsabili di aver organizzato e diretto un’attività illecita in Nigeria, in modo da corrompere i funzionari del Governo locale, per ottenere l’esplorazione di un campo petrolifero nei pressi della città di Abuja. La somma coinvolta sarebbe di 215 milioni di euro e sarebbe stata bloccata nel corso di alcune transazioni tra Gran Bretagna e Svizzera. Descalzi in tutto questo sarebbe stato in continuo contatto con Obi. Secondo la ricostruzione che ha effettuato la Procura di Milano, ci sarebbe stato un meccanismo che avrebbe portato a coinvolgere diverse persone, fino ai massimi dirigenti di Eni.
Il Pubblico Ministero Fabio De Pasquale ha scritto: “Eni ha ottenuto un profitto dalla partecipazione allo schema di corruzione: questa non è una asserzione implicita, ma un fatto storico. Eni ha ottenuto la licenza a condizioni molto favorevoli e senza gara”. Il documento riporta anche delle valutazioni specifiche sul miliardo e 90 milioni dell’accordo. Viene riferito che 800 milioni sono rimasti in Nigeria, mentre gli altri 215 milioni di euro sarebbero tornati in Europa, per ricompensare pubblici ufficiali e per pagare tangenti a manager Eni e agli intermediari. De Pasquale parla di “un complesso schema di corruzione messo in atto da Eni”.
Eni ha diffuso un comunicato, attraverso il quale sottolinea: “Eni sottolinea di aver stipulato gli accordi per l’acquisizione del blocco unicamente con il Governo Nigeriano e la società Shell. L’intero pagamento per il rilascio a Eni e Shell della relativa licenza è stato eseguito unicamente al governo nigeriano”.
La maxi-tangente ai politici italiani
Dietro alla licenza ottenuta dall’Eni per aggiudicarsi il giacimento petrolifero nigeriano, ci sarebbero anche tangenti per i politici italiani. Secondo la Procura di Milano, sarebbe stato stabilito un contratto da 1 miliardo e 300 milioni di dollari, prevedendo un compenso di 200 milioni per il mediatore. Dietro a questo contratto si nasconderebbero, quindi, le cifre destinate alla corruzione. Vincenzo Armanna, ex dirigente dell’Eni, avrebbe dichiarato ai PM che tutti sapevano che una buona parte di quei soldi sarebbe stata destinata agli sponsor politici dell’operazione.
Inoltre l’uomo avrebbe riferito di aver saputo dal rais nigeriano che Descalzi sarebbe stato ai suoi ordini. L’Eni si è difesa da queste accuse, facendo sapere che Armanna è stato licenziato per gravi violazioni del codice etico, notizia che è arrivata attraverso il portavoce dell’ex amministratore delegato Paolo Scaroni.
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