Elly Schlein e Stefano Bonaccini, rispettivamente la nuova segretaria del Partito democratico, la prima donna, la più giovane di sempre, e colui che ha sconfitto, inaspettatamente alle primarie di domenica 26 febbraio, hanno trovato una quadra: il governatore dell’Emilia Romagna sarà il prossimo presidente dello schieramento del Nazareno. Come ha raccontato Repubblica, infatti, tra i due ex sfidanti c’è stata una video call con una stretta di mano, figurativo chiaro, in cui hanno chiarito quale sarà il ruolo del secondo.
Qualche giorno fa, la deputata dem aveva proposto al suo numero uno di fare il vice segretario, mentre lui puntava alla casella della presidenza, come tra l’altro si vuole per ogni candidato che non ce la fa. Accontentato, quindi. Anche dagli applausi che arriveranno per lui quando all’Assemblea di domenica, quella che sancirà l’ingresso effettivo di Schlein in direzione con i galloni della frontman, si chiederà chi è il prossimo presidente, appunto. Nessuna conta, infatti, servirà, ma la lista dei nomi da inserire nella direzionale nazionale del partito, be’, quella sì.
Una cosa che ha ripetuto spesso, Elly Schlein, la neo segretaria del Partito democratico, quella che fino a qualche mese fa neanche aveva (più) la tessera, ma che poi è riuscita a sovvertire ogni pronostico battendo il suo vecchio numero uno in Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, è che il suo schieramento lo vuole unito, che non ci devono essere correnti, correntine, e si deve lavorare con l’unico obiettivo di fare del bene all’Italia.
Ecco, in nome di questa cosa, di questa dichiarazione di intenti, e di strigliate di orecchie forse per il passato, la deputata ha deciso di tendere un ulteriore mano allo sconfitto nelle primarie di domenica 26 febbraio e consegnarlo all’Assemblea di questa, di domenica, come il prossimo presidente del Nazareno. È quasi prassi, in effetti, che quello che non ce l’ha fatta – che di solito, però, vinceva nei circoli, mentre per Schlein e Bonaccini non è stato così – venga investito del mandato popolare, leggasi un’acclamazione dei dirigenti, in questo caso alla Nuvola, come, appunto, un numero uno in una compagine in cui, però, ad avere un peso maggiore è sicuramente il segretario.
Non è un contentino, però, non in questo caso. È stato proprio il governatore emiliano a pretendere per sé il ruolo. Venerdì scorso, infatti, la nuova leader dei dem aveva proposto lui di farle da secondo, ma lui non se l’è sentita, e lei lo ha capito. E quindi, in occasione di una video chiamata creata ad hoc, c’è stata la famosa stretta di mano in cui si sanciva il nuovo accordo, con tutti felici e contenti. Una stretta di mano figurata, chiaro, considerata che lei si trovava a Roma, ed era di ritorno da Colonna, il paese dei Castelli in cui è stato sepolto il senatore e segretario regionale del Lazio, Bruno Astorre, scomparso una settimana fa mentre si trovava a Palazzo Cenci, una delle aule del Senato, e lui, invece, a Bologna, città cara a entrambi.
Secondo le fonti degli entourage sentite da Repubblica, l’incontro, durato due ore, anche il secondo dopo le primarie, è stato molto proficuo, meglio è stato “franco e costruttivo“. E non è un caso che si sia parlato di costruire. Sempre domenica, si sceglierà anche chi entrerà a far parte della direzione nazionale, un circolo molto più ristretto rispetto a quello dell’assemblea, e serve un listone di bonacciniani, e un altro di fedeli alla neo segretaria, un che si devono fondere perché l’unione del partito è l’unica cosa che conta. Specie perché ci sono dei risultati da portare a casa, e i primi segnali post gazebo sembra essere di quelli positivi. Stavolta, forse, facilitati da un governo che sta dimostrando le sue prime fragilità, in un terreno, per altro, che è il loro, quello che hanno cavalcato per anni, e gli ha permesso di essere là, nella maggioranza: l’immigrazione.
In realtà, però, il sorpasso al MoVimento 5 stelle, netto, nettissimo, fotografato praticamente da tutti i sondaggi, è anche e soprattutto frutta della prima donna a guidare dem, la più giovane di sempre, perché probabilmente ha convinto più di qualcuno, come ha fatto lei, a tornare a mettere una croce sul simbolo del partito. Le politiche, poi, sono lontane e ancora di più serve lavorare per arrivarci il prima possibile, e preparati, sfruttando ogni occasione per fare sempre bella figura. E sulla tragedia di Cutro, la stessa in cui sono morte 73 migranti, e che sta facendo vacillare la fiducia nell’esecutivo – Giorgia Meloni, quindi Fratelli d’Italia, è scesa un po’ per le stesse rilevazioni -, Schlein è stata impeccabile: chiedere le dimissioni di Matteo Piantedosi dopo le sue esternazioni poco felici, per utilizzare un eufemismo, andare in provincia di Crotone a omaggiare le vittime, e chiedere ulteriori spiegazioni per quello che è successo in Parlamento, con il ministro degli Interni davanti a tutti, ma soprattutto di fronte delle opposizioni unite (più o meno) nel combattere la stessa battaglia.
La deputata, infatti, ha aperto a entrambi i fronti tra chi non siede tra i banchi della maggioranza, ai pentastellati di Giuseppe Conte sorpassati, al terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi molto molto più in basso, ma paradossalmente l’unico schieramento a crescere nelle opposizioni a parte il Pd, ma i cui numeri due sono due che prima stavano dentro, peggio uno dei due, l’ex premier, ha anche sancito il suo addio la prima volta. Nessun rancore? Sicuramente non con Bonaccini.
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