Gli studenti italiani hanno iniziato a mobilitarsi per protestare contro la didattica a distanza. Così, sono nati gli “Schools for Future”, dei flash mob molto particolari. Infatti, la manifestazione non prevede nessuno slogan, ma solo un’ora di didattica a distanza, con computer e connessione wifi, davanti alle scuole di tutto il Paese.
Gli studenti hanno aderito all’iniziativa per chiedere di tornare alle lezioni in presenza e far valere, da Nord a Sud, il loro diritto all’istruzione.
Anita e Lisa, due studentesse di Torino, hanno lanciato la protesta contro la Dad già qualche giorno fa. “Qualcosa è cambiato dopo questi giorni, c’è più coscienza tra gli studenti, ma anche nelle persone più grandi” ha detto Anita, contenta di vedere che “Schools for Future” sta riscuotendo successo in tutto il territorio nazionale.
L’iniziativa “ Schools for Future” è stata organizzata dal Comitato Priorità alla scuola che si batte per fare lezioni in presenza. “Io e un mio compagno di scuola stiamo davanti al nostro Liceo Galileo a Firenze. Ci siamo portati il telefono per fare lezione con le cuffie, ci siamo organizzati” ha raccontato Pietro, 18 anni, che ha aderito all’iniziativa insieme a Simone, che di anni ne ha 17.
“Noi riteniamo che non si possa fare lezione a distanza a lungo: si può apprendere qualcosa ma l’istruzione è un confronto collettivo, seguire in classe è tutt’altra cosa. Per noi la didattica a distanza può essere un modo di stare fermi quando la didattica frontale è infattibile ma vogliamo garanzie che il prima possibile rientreremo in presenza. Vogliamo tornare a fare scuola com’è sempre stata, la forza della scuola è la presenza”.
Chiara Ponzoni, mamma e organizzatrice aderente a “Priorità alla scuola”, ha raccontato che davanti ad alcune scuole medie di Milano ci sono alcuni ragazzi che stanno manifestando. Inoltre, ha spiegato che l’iniziativa, un po’ come successo con “Fridays for Future”, verrà ripetuta ogni venerdì davanti alle scuole di tutta Italia.
Alcuni studenti milanesi si sono ritrovati davanti alla sede della Regione Lombardia per chiedere la riapertura in sicurezza delle scuole e segnalare l’incongruenza tra la chiusura degli edifici scolastici a fronte di tante attività giudicate “meno essenziali” rimasta aperte.
“È incredibile che a differenza di tutti i Paesi europei che hanno puntato sulla scuola, in Italia sia la prima cosa che ha chiuso” ha detto Silvia, studentessa del liceo classico Carducci. “Non è possibile che ci siano studenti di serie A e di serie B, c’è chi ha situazioni difficili a casa o che non ha i mezzi per seguire adeguatamente la Dad”.
Nel capoluogo lombardo domani, sabato 14 novembre, si svolgerà un’altra iniziativa, durante la quale genitori e figli faranno lezione in parchi all’aperto, leggendo testi e commentandoli insieme.
“Dobbiamo essere franchi sulla scuola, la ricerca e i dati dicono che non sono focolai di diffusione dei contagi” ha detto il premier Giuseppe Conte durante il suo intervento all’evento “Futura: lavoro, ambiente, innovazione”.
“Noi cerchiamo di analizzare i dati, abbiamo un approccio pragmatico. C’è un valore della didattica in presenza dove la relazione interpersonale è fondamentale”. Per questo motivo il governo ha dato un segnale nelle zone rosse, dove ha permesso di continuare la didattica in presenza per gli studenti “della prima media, che non si conoscono, i professori non conoscevano nemmeno i loro nomi: mandarli a casa sarebbe stata una grossa perdita”.
Il premier ha però specificato che ciò che avviene al di fuori dell’orario scolastico “può costituire dei focolai”. Ecco quindi perché le regole sono fondamentali e “l’esperienza empirica” ha dimostrato che “i nostri ragazzi rispettano molto le regole”.
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