L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro. A meno che non sia Capodanno, Natale, Ferragosto o che non ci sia la Nazionale in campo. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a casi particolarmente patetici: organico dei vigili urbani di Roma ridotto all’osso per malattia a capodanno per chissà quale epidemia, lo sciopero Atac a Roma in occasione della partita Belgio-Italia ad Euro 2016, uno sciopero nazionale nel settore aereo per Italia-Svezia, uno strano caso di assenze fra i conducenti dell’Amat di Palermo proprio in occasione di Italia-Svezia, eccetera eccetera eccetera. In Italia lo sciopero selvaggio e l’assenteismo colpiscono non solo i trasporti, ma anche altri settori nevralgici per un paese come il nostro che ha fatto dell’arte e della storia il suo vanto: solo da noi un sito archeologico di fama mondiale come Pompei può restare chiuso per sciopero lasciando 2mila turisti ad arrostire al sole.
Non uno, ma ben 3 disegni di legge (Sacconi/Ichino/Di Biagio) giacciono da mesi nell’agenda del governo. La proposta di Ichino, nello specifico, arriva ad aggiornare un disegno di legge presentato nel 2008 da Maurizio Sacconi del NCD e indica nuove modalità con cui indire l’astensione dal lavoro. La questione sta diventando sempre più urgente e l’intervento legislativo non sembra più prorogabile.
(Testi a cura di Lorena Cacace e Mauro Di Gregorio)
Perché è così difficile contrastare i professionisti dello sciopero e dell’assenteismo? Perché fino a prima del governo Renzi qualsiasi governo è sceso a patti con i sindacati, poiché essi veicolano milioni di voti che fanno gola.
Renzi ha un’opportunità storica: non è stato eletto, non deve nulla ai sindacati, i loro voti non gli servono (al momento) perché le elezioni politiche sono lontane. Inoltre la sua linea politica cerchiobottista ha espanso la sua eventuale base elettorale fino a inglobare ex democristiani e delusi del centrodestra. Per questo Renzi, nei mesi passati, si è potuto permettere di dileggiare i sindacati con una frase che è entrata nella storia: “Le leggi si fanno in Parlamento. Se i sindacalisti vogliono trattare si facciano eleggere. Io ho detto ai ministri che siamo disponibili ad ascoltare. Se hanno considerazioni da fare li ascoltiamo, se gli viene più comodo possono mandarci una mail!”
L’occasione per cambiare le cose è più unica che rara.
Le legislazioni in Europa e nelle grandi democrazie occidentali sono diverse e spesso molto rigide: non si limita il diritto di scioperare ma lo si regola specie in settori cruciali come i servizi pubblici. Non a caso, in alcune occasioni, commentatori e giornalisti esteri hanno puntato il dito contro il grande numero di scioperi che si registra nel nostro Paese. Fece scalpore il commento della conduttrice Erin Burnett, conduttrice della trasmissione OutFront sulla CNN, nel 2013 all’indomani dello slittamento del processo per il naufragio della Costa Concordia a causa di uno sciopero degli avvocati. La crisi imperversava ed era appena arrivato il declassamento dell’Italia da parte della società di rating Standard & Poors. “Credo che non ci sia da stupirsi per il downgrade dell’Italia da parte di S&P, questo fa parte delle conseguenze quando si è sempre in sciopero”, disse la conduttrice.
É davvero questa l’immagine del nostro Paese visto dall’estero? Cosa si sta facendo per rimediare?
La riforma dello sciopero
Il ddl di Ichino punta a riformare lo sciopero, dando due modalità di attuazione. Nel primo caso, la protesta deve essere proclamata da uno o più sindacati che rappresentano il 50% più uno dei dipendenti. Nel secondo caso, se fosse un sindacato più piccolo a proclamarlo, dovrebbe superare un referendum tra i lavoratori dell’azienda con il 50% dei sì e un quorum del 50%. “Per capirsi, uno sciopero come quelli di Alitalia o della metro di Roma in questi giorni non sarebbe consentito”, ha spiegato Ichino che ricorda come in Germania o in Inghilterra sia già previsto un referendum all’interno dell’azienda. Il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio, ha portato avanti tavoli di discussione con i sindacati per trovare un accordo sulla riforma e, dalle prime impressioni, sembra che ci siano pareri positivi da parte delle maggiori sigle sindacali. Il ddl riguarda al momento solo il trasporto pubblico, ma Delrio vorrebbe estenderlo anche ai lavoratori dei Beni Culturali. “È una questione di buon senso: se si gestisce un patrimonio dell’umanità, si svolge un servizio per il mondo intero: più servizio pubblico di così”, ha spiegato.
Quanto si sciopera in Italia?
L’Italia sembrerebbe il paese degli scioperi, ma è davvero così? A rispondere è la Commissione di garanzia e sciopero che ha presentato il 1° luglio alla Camera l’annuale relazione sullo stato degli scioperi in Italia. Nel 2014 ne sono stati proclamati nei settori dei servizi pubblici essenziali 2.084 scioperi, il 10,86% in meno del 2013 (2.338 quelli indetti). La differenza si rileva anche su quelli effettuati davvero che sono stati 1.233 contro 1.279 dell’anno precedente, anche grazie all’intervento dell’autorità di garanzia che si mossa preventivamente “per 379 volte con successo”, ha ricordato il il presidente Roberto Alesse. Sono però aumentati gli scioperi nazionali, 17 contro i 7 del 2013, e sono cresciute anche le sanzioni per un valore di 320.500 euro, in crescita del 181%.
I settori dove si sono registrati più scioperi sono quello dell’igiene ambientale, delle pulizie e multiservizi e del trasporto pubblico locale: in particolare è quest’ultimo ad aver registrato il maggiore aumento con 331 scioperi proclamati, a fronte di un contratto collettivo di lavoro fermo al 2007. In aumento anche le proteste del trasporto aereo e ferroviario: nel primo ci sono state 182 proclamazioni, + 10% rispetto al 2013, mentre nel secondo si sono registrate 143 proclamazioni in tutto, con una crescita del 30%. I numeri in crescita dimostrano, secondo il Garante, “la concorrenza tutta interna alle organizzazioni sindacali, impegnate in una sorta di competizione quotidiana per occupare, per tempo, tutti gli spazi utili per scioperare, così da garantirsi quella visibilità che sarebbe impedita dalla concentrazione con le azioni delle altre sigle sindacali”. A questi numeri, si aggiunge che l’80% degli scioperi viene indetto o venerdì o lunedì, allungando il “ponte” del fine settimana: una scelta che appare agli utenti sempre più difficile da accettare.
Come funziona lo sciopero in Italia
Lo sciopero rientra nella società italiana con l’articolo 40 della Costituzione dopo il Ventennio fascista. “Noi oggi cerchiamo di evitare al massimo, nella misura del possibile, gli scioperi in regime democratico e repubblicano, perché noi desideriamo concorrere, con tutte le nostre forze possibili, a consolidare lo Stato democratico e repubblicano”: sono le parole pronunciate da Giuseppe Di Vittorio davanti alla Costituente. Fin dall’inizio, gli stessi sindacati hanno usato termini come “senso di misura e di fiducia” (lo disse Vittorio Foa) per sottolineare come lo sciopero fosse l’ultima tappa di un percorso di lotta sindacale.
Da allora, solo una volta si è intervenuti in materia di leggi sullo sciopero, con la 146 del 1990: l’idea era di equilibrare i diritti dei lavoratori con quelli degli utenti. Ecco perché i settori dei servizi pubblici essenziali (trasporti, sanità, scuola, ecc.) devono garantire i servizi minimi (tra cui le famose fasce di garanzia per i trasporti), a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro (pubblico o privato, dipendente o autonoma). L’unico comparto che non può scioperare è quello delle forze di Polizia e forze armate.