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Ufficiali le dimissioni di Renzi all’assemblea del PD: ‘Peggio della parola scissione c’è solo la parola ricatto. Andiamo avanti. Chiedermi di andare via non è democratico’, questa la risposta dell’ex premier. Nel giorno del verdetto sul futuro del Pd, Matteo Renzi, in veste ufficiale di dimissionario, è salito sul palco dell’Hotel parco dei Principi. Intorno alle 11.23, dopo che Orfini ha confermato le dimissioni, Renzi ha preso la parola facendo un appello: ‘Fermiamoci e ripartiamo’, poi ha replicato in maniera decisa al diktat della minoranza: ‘Congresso con i tempi statutari. Il governo vada avanti’.
Per la minoranza bersaniana replica Guglielmo Epifani: ‘Io avrei chiamato i tre candidati e con loro avrei trovato una soluzione al problema delle regole condivise sul congresso. Perché se la contendibilità non è equa, il congresso nasce con il piede sbagliato. Noi su questo aspettavamo una proposta. Il segretario invece ha inteso tirare dritto sulla sua posizione. L’ex segretario della Cgil ha poi concluso: ‘Se questo viene meno – in relazione alle regole del congresso – è chiaro che per molti si apre una riflessione che poi porterà a una scelta. La parola scissione per me non ha senso, non avendone mai fatta una. Ma per stare dentro il partito ci vuole il rispetto da parte di tutti’.
L’x sindaco di Torino ha replicato: ‘Ne ho fatti tanti di congressi, non ne ho mai visti congressi di figurine, non sono i tempi di un congresso a determinare la qualità del congresso. Ai compagni della minoranza dico che c’è spazio per tutti, il Pd è la casa di tutti. Quando ho sentito la parola scissione, io ho avuto un grande turbamento, se la pronunci ti vincolano e sei prigioniero della parola. Tiriamola via, non usiamola più e lavoriamo a creare condizioni perché congresso che oggi parte sia un un congresso in cui ci misuriamo e discutiamo’.
La scissione del Pd è sempre più vicina , eppure si fanno gli ultimi tentativi per ricucire lo strappo. Da un lato gli uomini di Matteo Renzi, con Dario Franceschini in testa, dall’altro quelli della minoranza, dal più conciliante Michele Emiliano al più drastico Massimo D’Alema. Sabato si è riunita la minoranza. Al Teatro della Vittoria di Roma Emiliano, Rossi e Speranza (candidati alla segreteria del Pd senza scissione) si sono incontrati per decidere se lasciare o no, ponendo le condizioni a Renzi. Presenti anche Bersani e D’Alema.
Nella mattina di sabato, a Palazzo Chigi, si è tenuto l’incontro tra i ministri Lotti, Minniti, Martina, Franceschini, Delrio, De Vincenti e Pinotti. Coloro che, accanto all’ex premier, vogliono evitare la scissione.
L’ultima carta da giocare l’ha proposta il ministro dei Beni Culturali e grande mediatore Franceschini: stop all’assemblea di domenica, congresso e primarie Pd a dicembre 2017. Dopo le amministrative di primavera e le politiche di settembre, con caduta anticipata del governo Gentiloni. Cosa che la minoranza non vuole: per Emiliano e company bisogna invece tornare alle urne alla scadenza naturale del governo.
La meno conciliante tra i renziani appare l’ex ministra delle Riforme Maria Elena Boschi che, come rivela il Corriere, si sarebbe sfogata così: «Scusa Matteo, ma quali aperture dovremmo fare e a chi? A quelli che si sono sempre messi di traverso? A quelli che hanno persino brindato la sera del 4 dicembre? A quelli che vogliono solo la tua testa? Adesso basta. Dovrebbero essere loro a chiedere scusa».
Il governatore della Puglia Emiliano ha ricevuto la telefonata di Renzi (che, stando al ministro Delrio, non avrebbe chiamato nessuno per evitare lo strappo). La sua proposta sarebbe quella di non votare a giugno per le politiche, aspettare le amministrative di primavera e fare congresso e primarie a settembre: «Matteo, se non votiamo più a giugno per le politiche, che fretta hai? Il congresso facciamolo dopo le comunali, prima facciamo la conferenza programmatica e poi le primarie a settembre, se accetti questo percorso, io non appoggerò più la scissione», avrebbe detto, come racconta La Stampa. Emiliano lo avrebbe anche rassicurato del fatto che se il Pd dovesse perdere le comunali, la minoranza non addosserebbe a lui la colpa. «Se Renzi non accetta la mia proposta significa che la rottura la vuole lui. Ma non posso credere che lui voglia veramente questo. Non ci posso credere e non lo voglio credere. Non mi rassegno. Io aspetterò fino all’ultimo secondo utile per evitare la scissione».
Questo il messaggio di Emiliano su Facebook, a poche ore dall’assemblea di sabato: «Ieri ho detto a Renzi che basterebbe fare una conferenza programmatica a maggio e le primarie congressuali a settembre per ricomporre un clima di rispetto reciproco e salvare il PD. Adesso che lo abbiamo convinto a sostenere Gentiloni fino alla fine della legislatura senza fargli brutti scherzi, possiamo darci il tempo di riconciliarci e trovare le ragioni per stare ancora insieme. Questo è il lavoro che deve fare il segretario. Rimettere insieme i cocci di anni difficili per ripartire insieme. Senza questo lavoro le distanze politiche tra noi sono troppo grandi e non basterebbe una conta per evitare anche a breve nuovi dissensi e nuovi rischi di conflitto. Diamoci una possibilità».
Chi proprio non riesce a deporre l’ascia di guerra è D’Alema: «Una scissione non è un dramma, ma l’inizio di una ricostruzione», ha affermato venerdì sera, come rivela il quotidiano torinese. Ribadendo che la scissione è inevitabile «se sarà respinta la richiesta di fare arrivare il governo alla sua naturale scadenza e tenere il congresso del Pd con le primarie a ottobre»
LA DIRETTA LIVE DELL’ASSEMBLEA DELLA MINORANZA
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