Cristina Golinucci è scomparsa il 1° settembre del 1992, dopo aver lasciato la sua macchina, una Fiat 500 azzurra, parcheggiata nel piazzale del convento dei frati Cappuccini a Cesena.
Di lei non si sa più niente da trentuno lunghi anni. Inghiottita in quel breve tratto di strada. Ma oggi, dopo così tanto tempo, un sopralluogo proprio nel l’istituto religioso. Con cani molecolari ed il georadar, strumento quest’ultimo in grado di rilevare corpo, o tracce di esso, fino a sei metri di profondità.
“Speriamo che ci siano novità. Ho aspettato tanto. Al momento non so niente. I dubbi che avevo sono diventati un tarlo. Io penso che questo convento sia la tomba di Cristina. Abbiamo seguito tante piste, che hanno portato anche lontano. Spero di trovare al meno le sue ossa”. Queste le parole della mamma di Cristina rilasciate a Tg Regione. Una donna che mai si è arresa e da anni si dichiara convinta che la sua bambina si trovi nascosta da qualche parte proprio nel convento.
Tuttavia, secondo quanto è emerso dalle indagini, il 1° settembre del 1992 Cristina non solo non sarebbe mai entrata nel convento cappuccino. Ma non avrebbe fatto in tempo neppure a suonare il campanello perché sarebbe stata intercettata prima dal suo aguzzino. Quel giorno la giovane avrebbe dovuto incontrare Padre Lino, il suo confessore.
Quando però la sera i genitori si recarono a cercarla, padre Lino Ruscelli, il cui ruolo per anni è stato centrale nell’inchiesta, dichiarò che nel pomeriggio del 1° settembre aveva fissato un incontro con Cristina alle ore 14.30 per organizzare il campo scuola. Tuttavia, on vedendola arrivare all’orario stabilito, alle ore 15.00 aveva deciso di allontanarsi dal luogo di culto, pensando che la Golinucci avesse dimenticato quell’impegno. Credendo che, quindi, non si sarebbe presentata. Purtroppo, non solo non l’avrebbe più fatto. Ma non sarebbe mai più tornata a casa.
Il giorno seguente iniziarono le ricerche a tappeto. E nonostante padre Lino disse di non aver visto niente, gli amici della ragazza trovarono la 500 azzurra parcheggiata proprio nel piazzale del convento. Perché nessuno ne fece parola? Possibile che fosse passata inosservata? Quel che è certo è che inizialmente la sua scomparsa è stata trattata come un caso di allontanamento volontario. Un dato quest’ultimo che ha sicuramente compromesso l’esito delle indagini.
Dopo mesi di indagini infruttifere, ad un certo punto sembrava arrivata la svolta. Una prima persona, che resterà l’unica, venne iscritta nel registro degli indagati. Nessuno di legato, almeno apparentemente, al mondo religioso Per l’esattezza un uomo. Difatti, le indagini si concentrarono su Emmanuel Boke, un operaio che era arrivato dal Sudafrica per svolgere alcuni lavori di manutenzione. L’uomo infatti era finito nel troncone dell’inchiesta tre anni dopo la scomparsa della Golinucci. Specificatamente, nel 1995 alla trasmissione televisiva Chi l’ha visto? era arrivata una telefonata che parlava di uno stupro in danno di una ragazza di Cesena. La zona della violenza su quest’ultima coincideva proprio con quella del convento dei cappuccini. Dove lo stesso Boke era stato ospite nel 1992. L’anno in cui Cristina scomparve. Per quello stupro l’operaio era stato indagato, processato ed infine condannato. Durante la detenzione in carcere l’ex operaio riceveva le visite di padre Lino. E durante quegli incontri confidò proprio a padre Lino di aver ucciso la. Golinucci e di averne nascosto il corpo. Il religioso non testimoniò subito. Aspettò un anno prima di farlo. E poco dopo morì. Così, una volta morto l’unico testimone, Boke negò di aver fatto quelle confidenze. Nonostante le indagini, pertanto, non si arrivò a nessuna verità.
Ciò condusse ad un procedimento di archiviazione senza che venisse mai scritta alcuna verità sulla scomparsa di Cristina. Verosimilmente anche perché nell’immediatezza il caso venne trattato come un semplice allontanamento volontario.
Era il primo febbraio quando la procura di Forlì annunciava la riapertura delle indagini. In questo senso, l’organo requirente si è convinto che la storia di Cristina sia sovrapponibile a quella di un’altra scomparsa, quella di Chiara Bolognesi. Una ragazza sempre originaria di Cesena e scomparsa il 31 ottobre 1992.
Oggi, invece, si è svolto il sopralluogo nel convento dei Cappuccini con i cani molecolari e l’utilizzo del georadar. A guidare le attività, insieme alla Polizia ed ai Carabinieri, c’era anche l’anatomopatologa Donatella Fedeli. Erano presenti anche la madre di Cristina, Marisa Degli Angeli, ed il fratello Pino. Davvero l’istituto religioso è da considerarsi la scena del crimine? Non solo i familiari, ma anche gli inquirenti sembrano ormai esserne convinti.
La scomparsa di Cristina Golinucci rientra in quelli che in ambito forense vengono definiti casi a pista fredda. Ossia fa parte di quei casi che non possono essere qualificati come risolti perché manca una sentenza di condanna definitiva, perché archiviati per insufficienza di prove. Quei delitti rimasti senza colpevole e, come nel caso di Cristina, anche senza un corpo. Non c’è un termine stabilito che consenta di qualificare come un caso a pista fredda. Non potrebbe essere diversamente, visto l’ergastolo che incombe sulle famiglie che aspettano di avere giustizia.
Dunque, anche grazie all’ausilio di nuove tecnologie, sarà sempre possibile individuare piste investigative mai esplorate e ascoltare testimoni mai sentiti prima. Chiaramente, presupposto per la riapertura di un cold case, è la presenza del fascicolo giudiziario.
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