Senza le riforme, l’Italia rischia di dover attuare una manovra aggiuntiva da oltre 6 miliardi, a fronte di sconti fiscali per il 2015 che costano 161,5 miliardi, il 10% del Pil. I dati arrivano dal dossier del Servizio Bilancio della Camera e del Senato realizzato per l’esame parlamentare del Def 2016. Nelle 215 pagine, si mette in guardia sulle difficoltà che potrebbe avere il Documento di Economia e Finanza nel passaggio davanti alla Commissione Europea. Non solo: i rischi sono tali che, in assenza delle riforme e di un aggiustamento in corso, si dovrebbe mettere di nuovo mano ai conti pubblici.
Il primo punto messo in luce dal dossier è la possibile mancata attivazione della clausola sulle riforme, il che “comporterebbe la necessità di una correzione strutturale del deficit pubblico di 0,5 punti di prodotto interno lordo”. Ciò significherebbe una manovra aggiuntiva di 0,4 punti, pari a 6,7 miliardi.
Nel Def infatti per il 2016 è prevista una riduzione del deficit strutturale di 0,1 e non dello 0,5 come previsto dalle regole europee. La deroga è arrivata proprio per la clausola sulle riforme: il cronoprogramma del governo sulla loro attuazione ha dato la possibilità di rallentare il percorso verso il pareggio di bilancio, con conseguenti risparmi.
Le tappe stabilite dall’esecutivo però vanno rispettate perché, in mancanza delle riforme strutturali, la clausola cade il che porterebbe a una riduzione dello 0,5. Dalla Commissione europea era arrivata nei giorni scorsi un’apertura, con la possibilità di usare la clausola, ma sempre rispettando gli impegni sulle riforme.
A questo, secondo il dossier, si aggiunge il mancato raggiungimento degli obiettivi fissati con l’Europa per le privatizzazioni, inserendo nel Def un piano anche meno ambizioso rispetto al passato.
Infine, un punto molto delicato riguarda le cosiddette “tax exprenditures”, i benefici e sconti fiscali messi in campo come forme di agevolazioni ma che hanno un costo pari a 161,5 miliardi, equivalenti al 10% del Pil. Il gettito mancante è decisamente alto anche perché sono 282 gli sconti fiscali: da qui la promessa del governo di razionalizzarli e mettere ordine, eliminando quelli non più attuali e utili.
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