Si dovrà indagare a lungo per capire le cause della tragedia dello scontro tra treni in Puglia, ma appare sempre più chiaro che all’origine di tutto potrebbe esserci un errore umano. Le inchieste aperte sul caso dovranno dare risposte alle famiglie delle vittime, indicando i responsabili di un incidente che ha del surreale. Nel 2016 in Italia ci sono tratti ferroviari dove si viaggia a binario unico (o binario semplice come si definisce in gergo) e soprattutto con un sistema di controllo telefonico, antiquato, vecchio e, come abbiamo tristemente visto, pericoloso. La politica si è già mossa alla ricerca dei responsabili, tuonando che è “inammissibile”, per citare il Capo dello Stato Sergio Mattarella, morire così nel terzo millennio. La stessa classe politica però dovrebbe iniziare a dire le cose come stanno e cioè che per trent’anni e più politici locali e nazionali si sono completamente disinteressati del Mezzogiorno, lasciando le ferrovie del Sud Italia in uno stato pessimo.
Il discorso in realtà vale per tutto il sistema ferroviario locale. Da Nord a Sud i disservizi che i pendolari subiscono ogni giorno sono enormi, tra cancellazioni, ritardi, carrozze non all’altezza, stipate all’inverosimile e spesso senza aria condizionata d’estate. Tanto per essere chiari, secondo il rapporto Pendolaria 2015 di Legambiente, la tratta Chiasso-Rho, linea suburbana di Milano (la S11) gestita da Trenord, è terza tra le dieci linee peggiori d’Italia. E questo nonostante il 90% degli investimenti per i treni regionali sia andato al Nord. Il dato descrive come sia possibile che in Puglia nel 2016 in una tratta frequentata da migliaia di persone ogni giorno ci sia un tratto a binario unico con un sistema di controllo risalente agli anni ’50.
LA QUESTIONE DEL BINARIO UNICO
Una delle questioni più dibattute è che per 37 km nel tratto tra Ruvo e Barletta, dove poi è avvenuto lo scontro, c’è un binario unico per entrambe le direzioni di marcia. In molti hanno indicato in quel solo binario una delle cause della tragedia e un esempio dello stato di arretratezza delle ferrovie regionali, in particolare al Sud. In realtà è una situazione diffusa in tutta Italia. Secondo i dati del Ministero dei Trasporti, il 60% dei 16mila chilometri di linee ferroviarie gestite da Rete Ferroviaria Italiana, quindi dallo Stato, sono a binario unico; a questi si aggiungono i 6mila chilometri su 6.500 in totale, quindi il 90%, gestite da società private in concessione come è Ferrotramviaria. In totale la Puglia ha il 55% dei binari totali come binari unici, ma non è la sola: il Piemonte ne ha 59,8%, la Lombardia il 53% e la Liguria il 36,9%.
Il binario unico di per sé non è un problema per la sicurezza; è per lo più una limitazione al numero di treni che possono transitare visto che obbliga a fermare il treno prima di ottenere il via libera al passaggio, cosa che rende il fluire dei mezzi più lento (e quindi con meno capacità di trasporto). Il vero problema è la modalità con cui si gestisce il traffico ferroviario che, nel caso di Corato, è a sistema di blocco telefonico, ossia manuale.
IL SISTEMA A BLOCCO TELEFONICO
Sul banco degli imputati c’è il sistema a blocco telefonico, ossia la modalità con cui si gestisce il traffico ferroviario tra le stazioni nel tratto tra Ruvo e Barletta e quindi anche tra Andria e Corato. Il sistema di consenso telefonico, come è definito in gergo, è “tra i meno evoluti“, come lo ha definito il ministro dei Trasporti Graziano Delrio. Risale agli anni Cinquanta e da allora è in uso in quel tratto di ferrovia, tra i pochi ancora rimasti in Italia. È un metodo pericoloso perché basato solo sull’intervento umano, di per sé suscettibile di errore: nel tratto tra A e B, il capostazione di A deve avvisare con un messaggio fonografico tramite telefono (mandando un segnale verde o rosso) il capostazione di B che il treno 1 sta partendo e che quindi il treno 2 deve rimanere fermo in stazione per non trovarsi sullo stesso binario.
È in questo passaggio che qualcosa è andato storto: c’è da capire perché solo in quel tratto è ancora in uso questo sistema visto che da Bari a Ruvo, oltre a esserci il doppio binario, c’è il sistema di controllo automatico, il cosiddetto SCMT. In tutti i tratti gestiti dalle Ferrovie dello Stato si usa infatti il Sistema di controllo marcia treno, metodo computerizzato che controlla ogni passaggio e che, nel caso, procede a fermare il treno. Anche nei tratti gestiti dalle Regioni per il trasporto locale si usa ormai quasi dappertutto il SCMT, come nella tratta tra Bari e Ruvo, ma non in quei 17 km che separano Andria da Corato.
L’ARRETRATEZZA DELLE FERROVIE LOCALI
Partiamo da un dato di fatto: è tutto il sistema di trasporto pubblico locale su rotaia ad avere problemi. Qualsiasi pendolare lo può mettere nero su bianco: viaggiare in treno negli orari di punta può essere una vera e propria impresa. Questo perché l’Italia oggi paga un ritardo ultra decennale sulla manutenzione del ferro. Mentre in Europa e nel mondo si convertiva il sistema ferroviario con tecnologie e interventi nuovi, in Italia il trasporto su rotaia veniva messo in secondo piano, preferendo affidarsi al trasporto su gomma sia per le merci che per i passeggeri, riempiendo strade e autostrade di auto e camion. L’arretratezza è evidente soprattutto nel settore regionale, così chiamato perché gestito dalle Regioni, proprietarie del tratto, che, a loro volta li danno in gestione a società private o miste.
La cosa più surreale è che l’Italia è leader mondiale nella realizzazione di tecnologie legate al trasporto su rotaie: i sistemi di controllo automatici migliori, usati in tutto il mondo, sono pensati e realizzati qui. Anche le ferrovie ad Alta Velocità sono un fiore all’occhiello: finalmente, dopo anni di ritardo, abbiamo collegamenti veloci ed efficienti tra il Nord e il Sud del paese, ma non tutto il Sud. Perché anche in questo campo ci sono due Italie, quella delle Frecce, che si fermano a Salerno, e quella dei treni regionali disastrati o che mancano del tutto.
Vogliamo fare un solo esempio? Matera. La città della Basilicata sarà capitale europea della cultura nel 2019 e non c’è un solo treno che arrivi nella stazione mai finita. Per arrivarci oggi esistono i Freccia Link: si arriva a Salerno con un Alta Velocità e poi si prosegue con un pullman su strada. Eppure, il progetto della linea Matera-Ferrandina (Napoli), risale almeno al 1986, anno in cui FS iniziò i lavori per poi accorgersi dei problemi geologici che hanno di fatto bloccato i lavori nel 1997. Da allora nulla più si è stato fatto, neppure un centimetro in più di rotaie. Nel frattempo, l’unico collegamento ferroviario tra la Basilicata e il resto d’Italia è garantito dalle Ferrovie Appulo Lucane (Fal) che da Bari a Matera, su una linea a scartamento ridotto e non elettrificata (quindi con treni che vanno a diesel), impiegano non meno di un’ora e mezza e tra l’altro con l’ultimo tratto in bus.
A Matera, capitale europea della cultura 2019, non arriva un solo treno
DOVE VANNO A FINIRE I SOLDI?
Il tratto Bari-Barletta, gestito in toto dalla Ferrotramviaria spa, era al centro di un investimento di 180 milioni di euro stanziato dall’Europa nel 2007 e che a oggi non è ancora stato del tutto utilizzato. Come già detto, da Bari a Ruvo questi soldi sono stati spesi solo in parte per realizzare il doppio binario e usare il SCMT automatico; il tratto da Ruvo a Barletta dove attende ancora l’inizio dei lavori per il doppio binario per cui è stato fatto un bando di gara ma che non è stato ancora chiuso (i termini scadono il 16 luglio ma sono stati rinviati).
Questa tragedia ci porta a parlare di un problema tutto italiano, cioè l’incapacità di usare tutti i fondi UE (e sono tanti) che arrivano. In media, i progetti italiani impiegano il 70% di tempo in più rispetto alla media europea per arrivare a Bruxelles e spesso non vengono accolti perché compilati male e con errori. La causa è a monte. È quel sistema burocratico elefantiaco, dove le assunzioni sono spesso clientelari e non per merito, che frena il tutto.
Il ministro Delrio ha dichiarato alla Camera che dal 2014 sono stati investiti 18 miliardi per la manutenzione del ferro e che è appena stato firmato l’investimento di 1,8 miliardo per le reti di competenza regionale, garantendo alle Regioni il supporto di Rfi per la gestione della rete ferroviaria locale.
Peccato che le Regioni abbiano sempre tagliato i fondi alle ferrovie di loro competenza. Il rapporto di Legambiente lo dice chiaramente. I tagli al servizio ferroviario regionale dal 2010 sono stati pari al 6,5%, con punte del 18,9% in Basilicata, del 26,4% in Calabria, del 15,1% in Campania e del 13,8% in Liguria; il record di aumento del costo dei biglietti si è registrato in Piemonte con +47%, in Liguria del 41%, del 25% in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento. In alcuni territori sono invece proprio scomparsi i treni, visto che in questi anni sono state chiusi 1.189 chilometri di linee ferroviarie. Al Sud ci sono anche meno treni che al Nord: ogni giorno i treni regionali che circolano tra Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna sono meno di quelli della sola Lombardia (1.738 contro 2.300) e sono anche più vecchi (20,4 la media di età contro 16,6).
Complessivamente, le Regioni hanno investito poco, con una media per lo stanziamento di 0,28% per i pendolari rispetto al bilancio annuale. A fronte di 5,4 milioni i viaggiatori al giorno, hanno dato più soldi alla costruzione e alla manutenzione di strade e autostrade rispetto alla ferrovie con i primi che rappresentano il 56,1% degli stanziamenti regionali, mentre ferrovie e metropolitane devono spartirsi il restante 43,9%.
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