Scoperti due esopianeti composti, in prevalenza di acqua non necessariamente allo stato liquido, secondo gli scienziati.
Questi due pianeti orbitanti in un sistema che ne ha quattro sono diversi da tutti quelli del sistema solare: potrebbero essere composti in gran parte da acqua, non necessariamente allo stato liquido.
Due esopianeti composti principalmente d’acqua: la scoperta
Teorizzati per anni, mai realmente osservati e spesso in prima pagina sui media, i mondi oceanici suscitano molte polemiche. A cominciare dal nome di battesimo che fa pensare che siano ricoperti da una grande quantità d’acqua.
“Non abbiamo certezze per il momento. Preferisco parlare di un mondo d’acqua perché c’è una forte probabilità, almeno per le due stelle che abbiamo studiato, che sia presente ma sicuramente non c’è allo stato liquido“, precisa Caroline Piaulet, dottoranda presso il Trottier Institute for research on exoplanets (IREx), dell’Università di Montreal, in Canada.
I due esopianeti da lei studiati si trovano nel sistema Kepler-138, situato a 218 anni luce dalla Terra, nella costellazione della Lira scoperto nel 2014, grazie al telescopio spaziale Kepler, gli astronomi avevano portato alla luce una nana rossa con 3 pianeti in orbita: uno piccolo, Kepler-138 b, vicino alla sua stella e due più distanti Kepler- 138 c e Kepler 138-d che impiegano rispettivamente 13,78 e 23 giorni per completare una rivoluzione.
È su questi ultimi due che si concentra questo nuovo studio, pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.
Pianeti che non esistono nel sistema solare
Oltre ai dati di Kepler, il team iREx ha integrato quelli dei telescopi Hubble e Spitzer, compresi una quindicina di transiti e quelli dello spettrometro HIRES dell’Osservatorio di Keck, che ha misurato le velocità radiali della stella.
Sono emerse le caratteristiche dei due esopianeti: 1,5 volte la dimensione della Terra per circa 2 masse terrestri e una densità molto inferiore a quella del nostro pianeta “che non è compatibile con la densità di un pianeta roccioso” spiega Caroline Piaulet.
Di cosa sono fatti allora? La spiegazione più semplice sarebbe immaginare pianeti il cui involucro ospita principalmente idrogeno ed elio. “Il che non è neanche molto realistico, a causa delle loro piccole dimensioni, gli involucri dovrebbero essere scomparsi, spazzati via dall’irradiazione della loro stella“.
Dobbiamo – quindi – considerare pianeti molto diversi da tutti quelli che esistono nel sistema solare e anche da tutti gli altri osservati altrove: mondi acquatici (ma non oceanici) di cui una frazione significativa del volume è costituita da H2O o da molecole dello stesso densità come il metano.
“L’acqua, essendo l’elemento più abbondante tra questi materiali, è il più probabile. Ma anche se parliamo di acqua, non aspettiamoci di trovare pesci su questi due pianeti! Occorre piuttosto prevedere un ampio involucro di vapore acqueo riscaldato a 100 o 150°C, con sotto, in superficie, acqua liquida ad alta pressione o in stato supercritico, altra fase dell’acqua“, insiste l’astronoma.
Come studiare gli esopianeti?
Il metodo più utilizzato per scoprire e analizzare gli esopianeti è quello dei transiti planetari, che consiste nel rilevare il minuscolo calo di luminosità prodotto quando un pianeta passa davanti alla sua stella.
Può essere utilizzato solo su stelle che hanno una posizione specifica rispetto al piano orbitale. Un altro modo per caratterizzarle è lo studio delle velocità radiali: la presenza di un pianeta in orbita attorno a una stella provoca movimenti regolari di quest’ultima.
Per un osservatore terrestre, la stella si allontana e si avvicina. Questi cambiamenti sono accompagnati da uno spostamento del suo spettro luminoso, verso il rosso quando si allontana, verso il blu quando si avvicina.
Questi spostamenti – molto sottili – possono essere osservati dagli spettrografi. Quando la massa dei pianeti è troppo piccola, queste variazioni non sono rilevabili. Gli astronomi cercano, quindi, variazioni nel momento del transito (come in quest’ultimo studio). Una tecnica molto sensibile, in grado di rilevare un esopianeta di piccola massa in un sistema in cui è già noto un pianeta in transito.
Se ne disegniamo il ritratto, questi due esopianeti sarebbero, quindi, composti da un grande involucro di vapore acqueo profondo 2000 km, che circonda un nucleo di ferro e silicati, simile a quello della Terra.
È la prima volta che tali pianeti sono identificati con sicurezza, anche se la loro esistenza era stata a lungo sospettata. Un altro pianeta, TOI-1452 b, potrebbe avere caratteristiche simili, anche se questo esopianeta potrebbe anche essere roccioso senza tracce d’acqua.
Per confermare la presenza di acqua, saranno necessarie ulteriori indagini. Fortunatamente, il telescopio James Webb della NASA è stato progettato per questo tipo di studio e fintanto che lo esaminerà, consentirà di decidere e – forse – di sapere qualcosa in più sugli altri due pianeti del sistema.