I servizi di tutela alle persone, definiti genericamente “ scorte” vanno azzerati per tutti, senza distinzione alcuna, fatte salve le figure istituzionali del Presidente della Repubblica, del Consiglio, del Senato e della Camera. Sono servizi svolti per i soggetti da tutelare e sovente estesi ai familiari, alla dimora e addirittura in alcuni casi, ai luoghi abitualmente frequentati, richiesti (si ha l’impressione) più per apparire che per difendersi, tramutati in moltissimi casi, in “status symbol” ovvero nel segno visibile della propria condizione economico sociale e quindi, di fatto, un privilegio.
Spesso i “tutelati” quando intervistati, mostrano sofferenza per il disagio dovuto alla loro condizione, quasi che non fossero partecipi o artefici di quella stessa condizione, ma in realtà, sottolineandola, a volte maliziosamente, per far sapere a tutti che si muovono con la scorta.
E’ vero che la disposizione è frutto di una articolata indagine svolta da una commissione in seno alle Prefetture ma è anche vero che in molti casi si ha la sensazione che tali servizi, siano stati autorizzati più sulla spinta mediatica che quella di sicurezza reale. Almeno a vedere a quali personaggi talvolta è stata concessa, inspiegabilmente.
Non si capisce perché un politico che si è volontariamente candidato, debba poi essere scortato, solo perché debba svolgere in presunta serenità il suo mandato; alla stessa stregua giornalisti e scrittori, che solo per aver scelto di scrivere un articolo o un libro poi debbano essere tutelati da chi hanno menzionato, magari solo perché hanno riferito o scopiazzato passaggi ricavati da atti giudiziari, notizie poi fatte passare per sconvolgenti o addirittura di prima mano, esibendole come frutto di loro iniziative.
Stesso discorso per taluni magistrati che coordinano particolari indagini. Ma vogliamo sottolineare che quelle inchieste sono frutto di un lavoro svolto da appartenenti alle Forze dell’Ordine? E allora? In primis dovremmo tutelare loro e qui mi sovviene uno slogan utilizzato per anni da un sindacato di polizia: “Chi difende i difensori?”
Ci appelliamo tutti al senso civico e al rispetto delle norme e delle Istituzioni, che ognuno faccia la sua parte consapevolmente nel rispetto del mandato ricevuto, sia esso di natura politica, sociale o giuridica. Si richiede al cittadino di collaborare e nel caso, denunciare, per poi fornire la scorta a chi riceve, esplora o pubblica la denuncia, un controsenso che va eliminato.
E’ stato ampiamente dimostrato che quando si vuole eliminare una persona, non ci si ferma per la presenza di una scorta, ma se proprio taluni soggetti sentono di essere in pericolo, ebbene, che se la paghino la loro esigenza di sicurezza. Al massimo i relativi soggetti, a seconda delle proprie possibilità patrimoniali, potranno richiedere un contributo allo Stato per le spese ma che siano a integrazione e non a completo soddisfacimento dell’opera ricevuta.
E qui necessariamente ci vorrebbe l’intervento del legislatore che dovrebbe stilare una legge che preveda, anche nel nostro Paese, che tutti vorremmo “normale” la possibilità di tutele private alle persone, evenienza oggi demandata esclusivamente alle Forze di Polizia.
Bastano poche righe che prevedano tutele o scorte armate, organizzate da istituti di vigilanza, istituti privati o anche da singole persone in possesso dei dovuti requisiti, come già avviene in molti altri Paesi democratici ed evoluti. Quindi una integrazione al regolamento previsto dal decreto ministeriale 269/2010 ed entrato in vigore il 15 marzo 2011 (apparso già vecchio e contorto sin dalla sua emanazione) con previsione di servizi più agevoli, più moderni, più efficienti e meno caratterizzati da vincoli inutili, come quello ad esempio, di avere una laurea o della necessità di un ufficio stabile, quando sappiamo che oggi tutto si comunica, si muove e si organizza digitando un pc o un telefono cellulare.
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