“Proprio perché amo la mia Polizia sino al midollo, non voglio dimenticare quella notte”. Sono le parole di Gianpaolo Trevisi, direttore della scuola per allievi della Polizia di Stato di Peschiera del Garda (Verona) che ha deciso di far vedere ai futuri poliziotti il film “Diaz” di Daniele Vicari. Una lezione atipica per gli alunni, che si è tenuta il giorno dopo la sentenza della Corte di Strasburgo sui fatti alla scuola Diaz e di cui parla lo stesso Trevisi sulla sua pagina Facebook. I 160 futuri agenti hanno così visto le immagini crude del film “basato su fatti processualmente verificati” perché se ne parlasse, perché la vicenda Diaz non venga dimenticata. Perché Trevisi quella notte c’era al G8 di Genova, la foto del faccia a faccia ravvicinato con Vittorio Agnoletto, portavoce del Genoa Social Forum, è diventata un’emblema di quei giorni, della contrapposizione tra manifestanti e forze dell’ordine. Perché Trevisi vuole chiedere scusa.
I fatti di Genova sono tornati a fare notizia dopo la sentenza della Corte Europea che ha parlato di “tortura” per quanto avvenuto la notte del 21 luglio 2001. Quei fatti, come quanto accaduto alla caserma di Bolzaneto e la morte di Carlo Giuliani, sono ancora oggi una ferita aperta nel Paese. Il post di Fabio Tortosa su Facebook è costato al poliziotto la sospensione dal servizio, scatenando enormi polemiche, anche perché i vertici che allora gestirono la sicurezza della città non sono stati toccati e anzi, hanno fatto carriera.
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Un mix esplosivo che fa male soprattutto alla Polizia, come ha spiegato Trevisi nel suo lungo post. Si impara di più dagli errori e dagli insuccessi, è la sua tesi: molti ragazzi che tra un po’ indosseranno la divisa, all’epoca del G8 erano piccoli e devono conoscere i fatti perché non succedano ancora.
Il giorno dopo la sentenza di Strasburgo, era in programma un’altra lezione, ma l’ospite non si è presentato e così il direttore della scuola ha deciso di proiettare il film di Vicari “Diaz – Don’t Clean Up This Blood” per i 160 allievi della scuola.
“Aspetto la prossima settimana per discuterne insieme, perché so bene, avendolo visto più volte, che subito dopo l’ultima scena, i titoli di coda ti stringono il collo, ti lasciano senza fiato e senza parole”, scrive Trevisi. Il film ricostruisce quanto avvenuto a Genova: “tutto drammaticamente vero, in quanto basato su fatti processualmente verificati.”
Conoscere per capire e migliorare. “Proprio per questo, soprattutto tra di noi, se ne deve parlare e si deve litigare e discutere e domandare e rispondere, se si può. Proprio perché amo la mia Polizia sino al midollo, non voglio dimenticare quella notte e la voglio ricordare a chi la sta scordando e descriverla a chi non la conosce”, continua Trevisi.
Quella notte alla Diaz, quei giorni per le strade di Genova pesano come un macigno anche su chi ha fatto il proprio dovere onorando la divisa e lo Stato. Per chi ha subìto quelle violenze “restano sempre aperte le ferite” ed è anche a loro che si rivolge Trevisi, a “chi quella notte, dentro un sacco a pelo, stava inseguendo dei sogni, magari anche macchiati di utopia, e si ritrova, ancora oggi, a convivere con un incubo sporco di sangue. Anche davanti a loro resto senza parole, dopo averne pronunciata solo una: scusate”.
I commenti al post si dividono tra chi plaude all’iniziativa e chi lo attacca per scuse tardive, arrivate dopo 14 anni. Come spesso accade, in Italia prevalgono le fazioni, i cori da ultras, schierarsi uno contro l’altro. È parlando, analizzando, aprendosi al dialogo che le ferite di Genova possono essere chiuse: rimarranno le cicatrici ma almeno saranno servite a qualcosa.