[didascalia fornitore=”ansa”]World Milk Day-Un momento della manifestazione in occasione della giornata nazionale del latte italiano[/didascalia]
Uno studio portato avanti da Sda Bocconi fotografa la situazione in cui versa il settore lattiero-caseario in Italia: manca la giusta crescita che sarebbe cruciale per lo sviluppo dell’intero Paese. Alla base di questa carenza c’è la dimensione delle imprese che lavorano nella filiera. Il problema, dicono i ricercatori, è che l’Italia soffre la carenza di operatori di grandi dimensioni, soprattutto nella produzione. Così capita che in Unione europea, principale area mondiale di produzione di latte con un tasso di auto-approvvigionamento pari al 113%, il settore italiano del latte è quello che vive la fase più critica, principalmente a causa di costi di produzione nazionali mediamente più elevati rispetto a quelli degli altri principali produttori dell’Ue, tra cui Francia e Germania.
Il tema è trasversale a più settori, ma la dimensione, dicono gli esperti, è un fattore cruciale nel settore lattiero-caseario, dove oltre la metà delle imprese sono medio-piccole soprattutto per quanto riguarda la parte dei produttori rispetto ai trasformatori.
I dati della ricerca di Sda Bocconi, realizzata in collaborazione con Parmalat, ci dicono in sostanza che la minore dimensione di un’azienda implica una più bassa produttività anche in termini di export, una minore capacità di innovazione relative a minori risorse investibili in ricerca e sviluppo o in progetti di crescita organica o M&A. Minore dimensione implica anche maggiore rigidità finanziaria.
I costi di produzione aziendali mutano in base alla dimensione delle imprese, diminuendo all’aumentare della produzione annua e del numero dei capi. Per stare positivamente sul mercato, quindi, la crescita delle imprese appare un imperativo per aumentare la competitività, favorita dai grandi operatori del settore, che stimolano un effetto ‘traino’.
Matteo Vizzaccaro, coordinatore del team di ricerca composto da Giulia Negri, Chiara Pirrone, Ilaria Cavalleri e Arianna Pisciella, ha commentato così i dati della ricerca: “La presenza di operatori con massa critica rilevante e maggiore produttività è fondamentale per creare valore indotto nel resto della filiera, come dimostra la ricerca: la crescita di questi operatori comporta la crescita delle imprese ad essi collegate, con un effetto traino fondamentale per la creazione di valore per il sistema Italia”.
In Italia uno delle poche aziende del settore dalle dimensioni grandi è Parmalat, con un indotto di 134 mila persone e una crescita media del 5% su base annua. Tra le sue attività, il Gruppo rappresenta l’unico operatore del settore in Italia (quarto in Europa) a presidiare attivamente le tematiche esg (environmental, social & governance, ossia ambiente, società e gestione), con specifiche policy attive per quanto riguarda la riduzione delle emissioni inquinanti, la tutela della forza lavoro, la responsabilità di prodotto, l’innovazione e il funzionamento dei meccanismi di governance.
L’azienda, che produce il 21% dell’Ires e il 17% dell’Irpef generate dall’intero settore, ha investito 1,5 miliardi di euro in 10 anni (dati al 2016), un totale di 141 milioni di euro d’investimento medi annui con tasso di crescita vicino all’8%, basso indebitamento, alta capitalizzazione e conseguente basso profilo di rischio sono gli ingredienti per un’incidenza sul pil nazionale nell’ordine del 1,638 miliardi di euro.
In collaborazione con AdnKronos
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