Una salsa prodigiosa, un’isola fuori dal mondo, una donna caparbia e uno zingaro. E poi la magia, quello che la natura e il destino concedono ai protagonisti di questo romanzo, che sia per dare vita a una prelibatezza gastronomica oppure per prevedere la morte. Se chiedi al vento di restare è il romanzo della Piemme che Paola Cereda, psicologa, appassionata di teatro e viaggiatrice, ha pubblicato di recente per esprimere l’amore che la lega al mondo circense e alla terra, alle esperienze di vita fuori dalla quotidianità e alle relazioni umane. Proprio queste ultime sono al centro delle sue giornate, dal momento che quando non scrive si occupa di progetti artistici e culturali con un impegno concreto nel mondo del sociale. L’abbiamo intervistata per scoprire dalle sue stesse parole la storia di Agata, Dumitru e la loro figlia Isola, raccontata tra le pagine di un romanzo intenso e deciso.
Questo romanzo vede come protagonista la salsa Agata, di cui scrivi la ricetta in fondo. Ce ne vuoi parlare?
La salsa è un’invenzione. Volevo che Agata avesse una passione forte, legata alla terra. Ho pensato alla cucina e a una salsa basata sugli ingredienti semplici dell’isola: mele cotogne, miele, timo, latte. La prima versione l’ha creata il mio compagno, poi è passata di padella in padella fino ad arrivare nelle abili mani della chef Gian Domenico Melandri. L’idea di scrivere questo libro è arrivata dopo alcuni anni trascorsi all’estero. Tornata in Europa, ho viaggiato per le isole del Mediterraneo. L’isola senza nome nasce da una serie di suggestioni che si sono accumulate nei miei occhi. E anche nelle narici! Una caratteristica del libro è quella di raccontare attraverso i sensi. La storia è frutto della fantasia, con alcuni richiami alla realtà. La tensione tra radicamento (Agata) e desiderio di libertà (Dumitru) è presente in ciascuno di noi.
L’ambientazione è un’isola molto particolare.
L’isola senza nome non è rude e aspra, anzi. È dominata dalla natura, e tutto funziona finché i suoi abitanti si adattano con rispetto ai suoi ritmi. Le cose cambiano quando sull’isola arriva uno straniero, che la vuole comprare e stravolgere. Solo allora l’isola si ribella, insieme ai suoi abitanti.
Il protagonista maschile è uno zingaro che addestra cavalli in un circo. Hai avuto modo di conoscere e di apprezzare la vita dei circensi?
Per lavoro, sono stata molto a contatto con la cultura rom. Per quanto riguarda il circo, ero interessata a indagare due aspetti in particolare: la tradizione familiare e la creazione di un mondo parallelo e sufficiente. Non a caso, i circensi hanno un loro gergo specifico. Si definiscono “dritti”, per differenziarsi dai “fermi”. Ricordo un particolare che mi colpì molto, durante le mie ricerche: un ragazzino figlio di circensi mi disse che la cosa più incomprensibile, per lui, erano i citofoni. Non ne aveva mai avuto uno! Il citofono, per lui, era legato a un’idea di casa che non corrispondeva al suo vissuto.
Nel romanzo usi uno stile asciutto, ma ricercato nei termini. C’è uno scrittore in particolare a cui guardi, o comunque che ami particolarmente leggere?
Ci sono delle autrici che, più di altre, hanno segnato la mia scrittura. Una è Agota Kristof, con la sua opera e in particolare con la Trilogia della città di K. Un’altra autrice è Herta Müller. In Bassure, scolpisce paesaggi di parole.
A che cosa stai lavorando in questo momento?
Sto lavorando a un romanzo ambientato in Calabria, nella seconda metà degli anni ’80. Sto cercando di evidenziare i diversi atteggiamenti femminili di fronte a vicende e contesti che, a volte, lasciano poco spazio all’autodeterminazione.
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