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Fausto Brizzi è in libreria con Se mi vuoi bene, romanzo edito da Einaudi che succede a ‘Cento giorni di felicità’, grandissimo successo letterario del 2013. Con ‘Se mi vuoi bene’ il regista e sceneggiatore affronta una tematica delicata: la depressione. E lo fa attraverso il protagonista, Diego Anastasi, cinquantenne di mezza età, alle prese con le sue paure più recondite. Abbiamo intervistato Fausto Brizzi in occasione dell’uscita del libro.
In ‘Se mi vuoi bene’ racconti la differenza tra voler bene e fare del bene.
E’ il cuore del romanzo. E’ l’equivoco sulla parola beneficenza, che tutti pensiamo si riferisca a una Onlus e, invece, vuol dire fare del ben fisicamente, cioè, dare del bene a qualcuno. E’ quello che muove il protagonista: cerca di fare del bene alle persone a cui vuole bene. Chiaramente, essendo una commedia, combina dei pasticci.
Cosa ti ha spinto a scrivere di Diego Anastasi?
Ho cercato di immaginare un me immaginario che aveva fatto quello che avrebbero voluto i miei, cioè l’avvocato. Mi sono immaginato come un depresso di mezza età, con le sue passioni – che, in realtà, sono le mie- e ho provato a immaginare una realtà alternativa, un po’ come avevo fatto con ‘Cento giorni di felicità’.
Provieni da una famiglia di avvocati. Hai deciso sin da subito che la tua strada sarebbe stata un’altra o hai avuto un po’ di incertezze?
Ho avuto un po’ di incertezze, però sin da piccolo volevo fare lo scrittore, non il cinema, anche se poi, in qualche modo, ci sono arrivato per strade traverse.
Hai paura di perdere gli affetti?
Ho terrore di perdere gli affetti, di non avere più nessuno intorno. Credo che sia l’unica cosa per cui vale la pena vivere: i propri amici, i propri cari, sono loro il pubblico per cui scrivo romanzi e scrivo film. Mi interessa relativamente quello che pensa di un film un critico che non mi conosce, mi interessa molto quello che pensano i miei amici di infanzia, che sono molto più critici a volte.
In ‘Cento giorni di felicità’ racconti la malattia. Che rapporto hai con essa?
Un rapporto di non conoscenza, in realtà. L’anno scorso il migliore complimento che mi facevano sul libro era ‘Come stai adesso?’. Essendo un io narrante, pensavano che avessi attraversato quel viaggio. Per fortuna sto bene in salute, sono uno di quelli che nel romanzo di quest’anno prendono in giro chi non conosce il nome del proprio medico di base.
‘Cento giorni di felicità’ è stato accompagnato da un video. Ne produrrai un secondo per ‘Se mi vuoi bene’?
Non ci sarà. In questo momento sono in preparazione del mio prossimo film, stiamo facendo altri tipi di promozione, però quel video mi aveva colpito molto.
Ti saresti aspettato tutto questo successo come scrittore?
Assolutamente no. Sono il primo ad essere rimasto sorpreso. Alla fine è uscito in quaranta Paesi, in alcuni ancora deve uscire, tra cui gli Stati Uniti ad agosto, che è il mio gol principale. Per me è stato un regalo. Con il cinema non riesci ad arrivare a certe platee, con il romanzo ci riesci; infatti, sull’onda di quell’entusiasmo, ho scritto il secondo perché è stato bello andare a fare la promozione all’estero, dove non contava niente quello che avevo girato al cinema, non mi conoscevano nemmeno, per loro ero solo lo scrittore di ‘Cento giorni di felicità’. Questa cosa mi divertiva molto, essere vergine di nuovo.
Ti senti un regista prestato alla scrittura?
Mi sento uno sceneggiatore prestato alla regia. Preferisco scrivere, è molto più bello.
Parlando di Stati Uniti, hai trovato un mondo diverso rispetto a quello italiano?
Il cinema americano è quello che prediligo. I film più belli li fanno loro, non c’è niente da dire e curiosamente non sono quelli più spettacolari, sono quelli che dovremmo fare noi. Boyhood è un film che potevamo fare noi, è un film neorealista, un film che poteva fare Rossellini e, invece, lo hanno fatto loro, quindi ci fregano sul nostro stesso campo. Lo stesso con ‘Birdman’: non lo potevamo fare noi? Nebraska? Chiaro che fanno ‘Guardiani della galassia’ e tanto di cappello, non possiamo farlo, perché non abbiamo quei mezzi. La verità è che ci colonizzano anche con i film d’autore. Ce ne dobbiamo fare una ragione, sono diventati più bravi.
La società americana è più meritocratica e con meno pregiudizi rispetto a quella italiana?
Sicuro, ma è anche il mondo della letteratura più meritocratico. Non c’è una barriera di lingua: viene comunque tradotto, non c’è il problema dei sottotitoli, della lingua originale. Per ‘Cento giorni di felicità’ addirittura hanno fatto un lavoro di editing talmente attento che mi hanno chiesto di aumentare il libro di una trentina di pagine. Curiosamente mi hanno chiesto di aumentare le parti di italianità. Ad esempio, qui stanno pranzando, racconta cosa mangiano; qui stanno passeggiando, raccontaci dove stanno passeggiando. Hanno voluto che fosse ambientato in maniera ancora più forte. Quindi quella che esce negli Stati Uniti è una special edition perché esce diversa da quella che è uscita in tutto il resto del mondo.
Sei anche produttore. Da addetto ai lavori, qual è lo stato di salute del cinema italiano?
Lo stato di salute è abbastanza buono. Ci sono tanti colleghi che stimo, escono tante cose buone, uno su tutti il film di Pif dell’anno scorso, ‘La mafia uccide solo d’estate’. Secondo me è un insieme di genialità meraviglioso: un film commerciale, ma d’autore, due caratteristiche che non si sposano sempre. Ci sono dei segni di vitalità. Agli autori chiedo sempre un po’ di più, consiglio sempre di osare ancora, come nel campionato: ‘Sorprendimi’. Pif sorprese l’anno scorso con una cosa che è proprio sua, personale, non lo avrei saputo fare. Devo andare al cinema per vedere una cosa che non so fare.
Recentemente abbiamo intervistato tua moglie Claudia. Ci ha detto che vi piacerebbe lavorare insieme. Lavorerete nel prossimo film e quando uscirà?
Il film si chiamerà ‘Forever young’, è dedicato al fenomeno dei finti giovani, che nella società di oggi ci circondano. Claudia sarà una delle protagoniste. Il film sarà prodotto da Wildside e uscirà a fine gennaio dell’anno prossimo.
Pensate di collaborare a un romanzo a quattro mani?
No, perché abbiamo gusti totalmente diversi. Quando andiamo al cinema andiamo in due sale separate. I libri, poi, sono quanto più possibile possa esistere come generi letterari, come paragonare Proust a Nick Hornby. Claudia ha una ricerca lessicale, io tendo per una ricerca dell’effetto ironico. Sarebbe molto difficile, finiremmo per litigare, quindi va bene così.
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