Matteo Renzi, dopo le dimissioni nel post referendum, lascerà anche la segreteria del Partito Democratico? Nelle ore immediatamente successive alla disfatta referendaria, Renzi aveva annunciato ai suoi più stretti collaboratori l’abbandono temporaneo della politica per intraprendere un semestre di meditazione e forse anche un viaggio negli Stati Uniti. Dopo nemmeno 48 ore ecco il ripensamento: Renzi si presenterà davanti al Partito per reclamare il suo ruolo di leader.
Certo è che mercoledì 7 dicembre, in un infuocato congresso del Pd, ci sarà la resa dei conti con la minoranza. Quella minoranza che domenica a mezzanotte festeggiava la vittoria del No. “Lui voleva rottamare gli altri. Spero che questa passione gli sia passata”, ha detto sibillino Massimo D’Alema.
Mercoledì ci sarà il congresso, quindi. Lo ha annunciato domenica sera il vicesegretario e portavoce Lorenzo Guerini: “Una riunione per le valutazioni dell’esito del voto referendario e le indicazioni rispetto alle iniziative politiche da assumere”. Tradotto dal politichese: ci sarà la resa dei conti. Il 4 dicembre ha sancito la sconfitta anche del Renzi segretario contro una minoranza che, da mesi, si era impegnata per il No. Minoranza che gongola. A partire da D’Alema: “Renzi dovrebbe dimettersi da segretario del Pd? Ci sarà un congresso che prenderà le opportune decisioni”. Poi la frecciata: “Il risultato elettorale chiede al Pd una decisa svolta politica. Il disegno neocentrista da partito della nazione è stato battuto. Bisogna ricostruire l’unità del partito. Il Partito Democratico deve tornare a fare il Partito Democratico. Non è il partito di Renzi. Lui voleva rottamare gli altri. Spero che questa passione gli sia passata”.
Ha esultato anche Pier Luigi Bersani. Poche parole e improntate sulle care metafore zoologiche. Alle 23, quando i primi exit poll annunciavano la débacle del suo segretario: “Aspettiamo di capire se è una mucca o un toro”. Più tardi: “È un toro!”.
Resa dei conti inevitabile per Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera (dalla parte di Renzi): “Non si ricuce più. Temo che la scissione sia nelle cose e che i gruppi parlamentari si spaccheranno”. Non è d’accordo Nico Stumpo, della minoranza: “La scissione non esiste”. “La crociata sotto le insegne del giglio magico si è trasformata in una devastante sconfitta del suo condottiero”, incalza Federico Fornaro.
Gli scenari possibili: Renzi lascia o raddoppia?
Insomma, l’atmosfera che avrà davanti Renzi sarà quella di un partito spaccato (ma non è una novità) con qualcuno della minoranza che vuole rottamarlo e riportare il Pd più a sinistra. Cosa farà il premier? Potrebbe lasciare il partito e addirittura la politica. Oppure potrebbe rilanciare: anticipare il congresso per eleggere il nuovo segretario nazionale del Pd, ricandidandosi. Il discorso di commiato di domenica notte (qui il video), in diretta da Palazzo Chigi, ha mostrato un Renzi più umano, diverso dal leader additato come pieno di sé e privo di emozioni. Un Renzi commosso che, in un bagno di umiltà, ha annunciato le dimissioni ma soprattutto ha ammesso la sonora sconfitta senza se e senza ma. Che sia l’inizio del nuovo corso, di un Renzi pronto a rimettersi in gioco cercando di riconquistare consenso e leadership? Dopo l’amarezza iniziale, in cui avrebbe pensato a un periodo sabbatico lontano dalla politica, i fedelissimi raccontano di un Renzi deciso a restare alla guida del Pd. Gli scenari possibili in sostanza sono tre: resta in carica; si dimette da segretario e lascia partito e politica; si dimette da segretario per ricandidarsi alle successive primarie, rivendicando comunque un 40% di voti dagli italiani.
I nomi in lizza per il dopo-Renzi (se lascia)
Se Renzi dovesse lasciare, a quel punto per il Pd sarebbe urgente trovare un leader credibile e pronto per affrontare campagna elettorale ed elezioni. Tra i nomi in lizza spunta quello di Michele Emiliano, tra i sostenitori del No al referendum. A indicare il suo nome gli esponenti della minoranza dem. Il governatore della Puglia, intervistato da Repubblica, per ora glissa: “Sono pronto a candidarmi, ma tra quattro anni. Per ora sono presidente della Regione Puglia e quello è il mio compito principale: una cosa alla volta”.