Quanti antibiotici vanno a finire sulla tavola dei consumatori italiani che mangiano carne e uova? Tanti, tantissimi, soprattutto se i prodotti acquistati in vendita nella grande distribuzione sono provenienti da allevamenti intensivi, poiché sappiamo che la vita degli animali tenuti in cattività provoca un peggioramento delle condizioni di salute e igieniche che rende l’uso di antibiotici praticamente inevitabile. Dettaglio che ha favorito, negli anni, l’aumento dell’antibiotico resistenza animale soprattutto nei polli, con possibili ricadute sulla salute di tutti.
Secondo un recente report del ministero, in 709 campioni di pollo esaminati: il 12,69% sono risultati positivi alla Salmonella, il 72,92% sono risultati positivi al Campylobacter, mentre ben il 95,40% sono risultati positivi all’Escherichia coli. Per tutti i consumatori è dunque bene sapere che nella carne e nelle uova non biologiche che si trovano in commercio si possono rilevare grandi percentuali di antimicrobici quali tetracicline, sulfamidici, aminopenicilline e chinolonici. E l’antibiotico resistenza mina la salute delle persone: vi sono previsioni che stimano un aumento della mortalità nel mondo dalle attuali 700.000 a 10 milioni di persone nel 2050. Per questo è necessario ridurre l’abuso e l’uso non corretto degli antibiotici negli allevamenti di animali.
Fortunatamente sono sempre di più le aziende, anche della grande distribuzione, che con il ministero delle Politiche Agricole hanno deciso di invertire la tendenza e contrastare il fenomeno dell’antibiotico resistenza. Come la Coop, che dopo essere stata premiata dall’associazione Compassion in World Farming, per aver deciso di vendere solo uova di galline allevate a terra estendendo a tutto l’assortimento quanto aveva già fatto nel 2003 per le proprie uova a marchio, ha lanciato una nuova iniziativa a favore della salute delle persone e del benessere degli animali. E’ la campagna “Alleviamo la salute” che porta sugli scaffali dei supermercati carne e uova a marchio provenienti da animali allevati senza l’uso di antibiotici, dopo aver già chiaramente optato per la scelta no-ogm sull’alimentazione delle filiere animali.
Il percorso è quello giusto, speriamo che a breve anche altre aziende mostrino una sempre maggiore sensibilità ai progetti di riduzione dell’uso degli antibiotici nelle filiere zootecniche, perché in gioco c’è la salute di tutti, come già evidenziato anche da Enti internazionali come l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).
In collaborazione con AdnKronos
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