In casa FCA è finita l’era Marchionne, in maniera del tutto inaspettata. Era l’1 giugno 2018 quando l’AD del Gruppo a Balocco presentava il nuovo piano industriale, l’ultimo del suo mandato. Poi nel 2019 si sarebbe messo da parte.
A fine giugno è andato sotto i ferri per un problema alla spalla: un’operazione già prevista da tempo, ma che ha avuto complicanze inimmaginabili. E così il Gruppo FCA sabato 21 luglio è stato costretto a convocare un CDA straordinario e a nominare il suo successore, Mike Manley. Poi il 25 luglio la notizia della morte.
Cosa sia successo in pochi lo sanno: c’è chi parla di tumore alla prostata, chi di cancro ai polmoni. Solo chi è stato a Zurigo nella sua stanza d’ospedale sa quale sia la verità. Quello che è sicuro è che Sergio non tornerà più al suo posto e la sua storia con il marchio Fiat si è appena chiusa.
Amato, odiato, chiacchierato. In questi 14 anni di operato al Lingotto si è parlato di lui sin troppo: per qualcuno ha rovinato la storia italiana dell’auto, per altri ha solo pensato agli interessi dell’azienda, fregandosene del resto. L’unica verità incontrovertibile la dicono i risultati: al suo arrivo Fiat aveva appena 47 miliardi di ricavi e una situazione debitoria attorno ai 15 miliardi, con azioni che valevano 0,8 euro. Ora i ricavi sono circa 141 miliardi di euro del 2017, mentre le azioni valgono oltre 16 euro e i debiti sono a zero.
Il fine giustifica i mezzi e le scelte, anche se impopolari, spesso devono essere fatte per risollevare le sorti del Gruppo. Ha sempre agito così Sergio ed è riuscito nell’impresa più grande, quella di non far chiudere Fiat e di riportarla in salute. Inoltre ha creato un colosso dell’auto che può competere con i più grandi del settore. A quale prezzo?
Dopo la morte di Umberto Agnelli, viene designato Amministratore Delegato Fiat il 1 giugno 2004. Da qui parte un periodo di grande lavoro per risanare un’azienda che, secondo le stime del mercato, perdeva circa 2 milioni di euro al giorno. Inoltre possedeva una gamma di veicoli obsoleta e che non piaceva più alla clientela.
La prima vera mossa è la scissione totale di Fiat da GM. L’azione è di quelle importanti: il colosso americano e Fiat avevano un accordo di massima, ma General Motors non aveva più intenzione di comprare l’azienda italiana, al tempo piena zeppa di debiti. Marchionne decide di scindere quest’accordo in cambio di 2 miliardi di Euro da versare nelle casse del Lingotto. Un “bonifico” fondamentale per le sorti Fiat, con il quale si è potuto subito investire su una produzione del tutto rinnovata.
Insieme al mitico Lapo, è l’artefice nel 2007 del rilancio di 500 che, insieme a Panda e Punto, rimane ancora oggi una delle best sellers del nostro paese. Un restyling moderno, un’idea geniale che poi si allargherà anche a 500L e 500X. Ancora oggi la famiglia 500 è quella che tiene alto il nome Fiat in Italia.
Altro mercato su cui l’AD ha sempre puntato è il Sud America. In Brasile e paesi limitrofi c’è stato un vero e proprio boom di Fiat dal 2005 in poi: con modelli dedicati proprio a quelle nazioni è riuscito a rendere estremamente redditivo il mercato dell’America del Sud.
L’idea è chiara: pensare ad una Fiat italiana e che punti solo al mercato nostrano e un po’ all’Europa, non è più sostenibile. Il futuro è la globalizzazione.
Ad inizio amministrazione Obama l’altra mossa fondamentale, forse la più importante: Chrysler è in grande crisi, Marchionne praticamente acquista il marchio in maniera gratuita, affondando il colpo negli States. Ottiene quindi Dodge, Ram, Chrysler e, soprattutto, Jeep: il neonato marchio Fiat Chrysler Automobiles diventa un colosso del settore, arrivando a 6 milioni di veicoli venduti. Complice lo spostamento della sede fiscale ad Amsterdam e il domicilio fiscale a Londra, il Gruppo inizia ad andare a gonfie vele.
Mentre Lancia viene praticamente chiuso e Fiat messo da parte, negli ultimi anni grande impatto mediatico ha avuto il rilancio di un brand come Alfa Romeo grazie alla nascita di Giulia, una berlina premium a trazione posteriore. Inoltre il marchio principale del Gruppo diventa Jeep, sempre più in crescita in Europa e dalle vendite incredibili negli USA.
Lo scopo di Marchionne è questo: lasciar perdere i marchi che tirano solo nel nostro paese e dai bassi costi di vendita e puntare maggiormente sul premium e sul lusso. In Italia i modelli continuano ad essere notevolmente venduti: Panda, Tipo e 500 sono sempre nelle top ten delle vetture più comprate nel nostro Paese, ma il loro costo di produzione è elevato e gli utili su ogni vettura sono bassi. Jeep e Alfa Romeo hanno un mercato molto più grande, mondiale e non solo italiano. E poi costano di più, quindi portano maggiori marginalità all’azienda.
Se qui sopra abbiamo descritto tutto ciò che di grandioso ha fatto Sergio Marchionne, rimettendo in piedi un gruppo ormai vicino alla chiusura, tutto ciò non è stato fatto senza scontentare nessuno. Tra stabilimenti chiusi (Rivalta nel 2004, Arese 2005 e Termini Imerese 2011), distruzione di marchi storici come Lancia e (ora) Fiat, italianità del Gruppo mandata a quel paese con la nascita di FCA, tasse pagate all’estero, abbandono di Confindustria, e molto altro, non si può dire che il manager non abbia lavorato in questi lunghi 14 anni. Ma l’AD è stato preso con lo scopo di rilanciare il marchio, sfruttando ogni tipo di opportunità. FCA è un’azienda votata al profitto, e dunque è libera di adottare le strategie manageriali che meglio crede per garantirsi ricavi e futuro. Che sia pagare le tasse all’estero (come fanno anche Google, Amazon e Apple), oppure licenziare dipendenti e delocalizzare la produzioni (come fanno tutti i competitor del settore), sono tutte azioni legali e in suo potere. E lui ha fatto al meglio il suo lavoro.
I dati degli ultimi tempi ne abbiamo parlato a lungo qui. Da sabato 21 luglio non è più lui l’AD di FCA, 4 giorni dopo la notizia del decesso. Mike Manley e il nuovo board si ritrovano una eredità molto pesante da raccogliere. La strada è però stata tracciata, vedremo gli sviluppi futuri.
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