Questo ha portato per lei negli anni a una sola scelta: l’eutanasia. Ma attenzione, perché questo è uno degli avvenimento legalmente più controversi della storia.
Shanti De Corte, una giovane belga di soli 23 anni, è morta dopo essere ricorsa all’eutanasia. Il motivo era una fortissima depressione di cui era affetta da anni, peggiorata in seguito ad un attentato dell’Isis a cui era sopravvissuta. La vicenda appare molto controversa dal punto di vista legale, soprattutto alla luce del fatto che un noto neurologo belga ha dichiarato le decisione prematura.
Il caso di Shanti De Corte ha lasciato tutto il mondo senza parole. La 23enne belga ha scelto di ricorrere all’eutanasia il 7 maggio di quest’anno, ma la faccenda è stata resa nota solo cinque mesi dopo, quando la madre ha avuto la forza di parlare e raccontare l’accaduto a un emittente belga.
Shanti De Corte, una giovane belga di soli 23 anni, è morta. A porre fine alla sua vita è stata l’eutanasia, ma questo caso è decisamente diverso da quelli che siamo abituati a sentire. La ragazza, infatti, era affetta da depressione da anni, a causa di una strage a cui era sopravvissuta, ma in cui avevano perso la vita diversi suoi amici.
Tutto ha avuto inizio sei anni fa: era il 22 marzo esattamente e De Corte si trovava all’aeroporto di Bruxelles-Zaventem. All’epoca, facendo un paio di conti, aveva solo 17 anni, era ancora adolescente, era emotivamente fragile per l’età, ma aveva anche dei problemi psicologici, di cui già soffriva da tempo.
Erano le 7:58 di mattina quando, insieme a circa 90 compagni di scuola (il collegio di Santa Rita di Kontich, in provincia di Anversa) si stava per imbarcare per Roma. Il motivo del viaggio era la celebrazione della fine degli studi, ma quella terribile mattina di primavera a finire fu la vita di diversi suoi amici.
Proprio quel giorno, infatti, mentre loro erano in aeroporto e si trovavano precisamente nell’area dei check-in, due bombe – portate sul posto da alcuni kamikaze – esplosero. Fu quello uno degli attentati dell’Isis, che uccise decine di persone, tra cui appunto alcuni amici di Shanti. L’esplosione avvenne a pochi metri dalla giovane, eppure lei rimase illesa, miracolosamente. Quello però per lei fu solo l’inizio di un incubo, che in questi sei anni non è mai terminato.
Da allora, infatti, la ragazza è entrata e uscita di continuo dall’ospedale psichiatrico, ma nessuno è riuscito a fare qualcosa per aiutarla. Ai problemi che già aveva, come abbiamo anticipato, si è aggiunto infatti il trauma per quello che aveva visto quel terribile giorno, che non ha fatto altro che aggravare il suo quadro psichico.
Questo ha portato per lei negli anni a una sola scelta: l’eutanasia. Ma attenzione, perché questo è uno degli avvenimento legalmente più controversi della storia.
Il 7 maggio di quest’anno – esattamente sei anni, un mese e quindici giorni dopo l’attentato – De Corte ha richiesto l’eutanasia. La sua morte è stata preceduta da un messaggio commovente scritto proprio da lei su Facebook: “Ho riso e pianto fino all’ultimo giorno. Ora me ne vado in pace. Sappiate che già mi mancate”.
Da allora sono passati ormai cinque mesi, ma solo adesso la madre ha avuto la forza di raccontare la storia della 23enne a un’emittente belga. Una storia fatta di stress post traumatico, ricoveri, tentativi di suicidio. Fino ad arrivare alla drastica scelta, arrivata dopo anni trascorsi in questo modo grazie ad un’organizzazione di sostegno alle persone che cercano una “morte dignitosa”, un percorso legale in Belgio. C’è da dire però che il suo è un caso particolare, quindi questa procedura sarebbe stata possibile solo in Olanda e in Lussemburgo.
Sono stati due psichiatri, in seguito a diversi consulti, a dare l’approvazione alla commissione federale per il controllo e la valutazione dell’eutanasia, ma questa vicenda ha comunque dato il via ad una serie infinita di polemiche. Secondo la commissione, infatti, Shanti “era in un tale stato di sofferenza mentale che la sua domanda è stata logicamente accettata”, ma un noto neurologo belga, che lavora presso l’ospedale Brugman di Bruxelles, si è opposto fortemente a questa tesi, convinto che la decisione sia stata prematura.
La situazione attualmente è questa: i magistrati di Anversa hanno avviato un’indagine, soprattutto in seguito alla denuncia del medico. E, nel frattempo, anche un altro celebre neurologo, Paul Deltenre, ha dato ragione al suo collega, affermando che ci sarebbero state altre terapie per cercare di salvare la vita alla ragazza.
Nel frattempo, per comprendere quanto sia controversa legalmente la faccenda, possiamo prendere in esame un altro caso analogo, quello di Godelieva de Troyer, a cui è stata concessa l’eutanasia per depressione clinica. La Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa al riguardo, sostenendo che quello che è accaduto alla donna di 64 anni avrebbe violato l’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Che, in sostanza, riguarda il diritto alla vita, che sarebbe stato violato perché la Commissione federale belga per il controllo e la valutazione dell’eutanasia non avrebbe esaminato le circostanze che hanno condotto la donna a richiedere l’eutanasia. Questa faccenda ebbe inizio nel 2012, ma solo di recente ha trovato un epilogo, con questa sentenza.
All’epoca la 64enne ricorse ad un’iniezione letale a causa di una “depressione incurabile”. Stando a quanto ha dichiarato il figlio della donna, Tom Mortier, la madre aveva sofferto di depressione per tutta la sua vita in pratica, ma godeva di ottima salute fisica.
Il discorso è che, mentre per le malattie fisiche, ad un certo punto appare chiarissimo il quadro clinico e quindi è possibile capire quando le cure effettivamente non potranno più funzionare (fermo restando che negli anni abbiamo assistito a diversi casi di guarigioni improvvise), per quanto riguarda quelle mentali, la faccenda è più complessa.
Chi soffre di malattie psichiche (ed i loro medici curanti ovviamente), come può capire che è arrivato il momento di dire basta? Quando, cioè, può essere sicurissimo al 100% che nessuna cura avrà più effetto? A quanti tipi di terapie bisogna provare a sottoporsi prima che sia ormai “troppo tardi per guarire”?
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