Un uomo morì di epatite C nel 1980 dopo una trasfusione di sangue infetto, i giudici hanno rigettato la sua denuncia.
Così, non avrà diritto al risarcimento che da anni chiedeva. L’uomo è morto nel corso del processo, durante il quale i giudici hanno deciso che era consapevole di aver contratto la malattia già nel 1999, quando chiese l’indennizzo, però avviò la causa solo anni dopo.
Una storia di malasanità quella che vi raccontiamo oggi e che affonda le radici a circa 40 anni fa. Era il 1 marzo del 1980 quando un uomo di cui sappiamo solo le iniziali G.M., ha ricevuto una trasfusione di sangue infetto che gli ha causato l’epatite C.
Solo nel 2011 aveva citato in giudizio il ministero della Salute perché voleva un risarcimento per i danni correlati dalla malattia, che l’ha portato alla morte mentre il processo era ancora in corso.
I giudici hanno respinto la sua istanza poiché dai dettagli raccolti è emerso che l’uomo già sapeva nel 1999 di essere malato ma ha deciso di procedere solo nel 2011, nel frattempo aveva chiesto l’indennizzo all’Inps che spetta in questi casi.
Arriviamo ad oggi, quando la sezione civile della Cassazione ha messo un punto della vicenda non solo negando il risarcimento all’uomo ma emettendo anche una condanna verso gli eredi, dal momento che lui non è più in vita.
Questi dovranno pagare le spese sostenute dal ministero della Salute, quantificate in circa 4.000 euro.
Già nell’udienza di primo grado era stato stabilito che il risarcimento era in prescrizione, poiché la vittima di malasanità aveva chiesto indennizzo alla fine degli anni Novanta e quindi era a conoscenza della malattia e sapeva come l’aveva contratta.
Ma ci sono anche altri dettagli che hanno portato i giudici a negare il risarcimento, nel 2000 infatti risulta che l’Avis aveva rilasciato un certificato all’uomo riguardante la provenienza della sacca utilizzata per la sua trasfusione, quindi anche volendo ammettere che non sapesse della sua malattia al momento della richiesta all’Inps, comunque è venuto a conoscenza dei fatti l’anno dopo, grazie alla comunicazione dell’Avis.
Anche i parenti hanno fatto ricorso ma questo è inammissibile perché, come spiegato dai giudici, è un diritto di ogni persona essere risarcita per i danni causati dalla malasanità, dopo i dovuti accertamenti chiaramente, tuttavia l’indennizzo deve essere chiesto solo in un tempo contemporaneo a quando si viene a conoscenza dei fatti e non prima come è accaduto in questa vicenda.
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