Si dice ‘ministra’ o ‘ministro’? Fin dal primo approccio alla grammatica italiana, con le sue regole e le sue infinite eccezioni, abbiamo avuto modo di constatare che i nomi, i pronomi, gli aggettivi e i participi, si accordano con il genere (maschile o femminile) cui si riferiscono. In base a questa regola generale, perciò, sappiamo che il femminile di psicologo è psicologa, di ballerino è ballerina, di studente è studentessa, e così via. Vi sono alcuni termini, però, che fino a poco tempo fa mantenevano la forma maschile anche se riferiti al genere femminile (è il caso, appunto di ‘ministro‘, ‘rettore‘, ‘sindaco‘), ma, complice, secondo alcuni, la presenza (più o meno) massiccia al governo di donne – anche se, in realtà, il problema era già stato sollevato anni fa – si è posta la questione del cosiddetto ‘sessismo linguistico’. Vediamo di cosa si tratta.
Da diversi anni ormai, molti linguisti (e non solo) discutono su quale sia la forma corretta: si dice ‘ministra’ o ‘ministro’? Sulla scia degli interventi della Crusca (di cui parleremo tra poco), in molti si sono posti questo interrogativo: definire una professionista femmina con un nome di genere maschile che ne descriva il ruolo istituzionale, può comunicare (inconsapevolmente) che alcune ‘funzioni’ sono prettamente ‘da uomini’? In molti pensano di sì, tanto che, parlando della nostra questione – si dice ‘ministra’ o ‘ministro’? – è bene utilizzare, nel caso si tratti di una donna, della forma declinata al femminile. Questo vuol dire, ragionando in termini di ‘sessismo linguistico’, che definire una donna con un nome declinato al femminile significa riconoscerle la possibilità (e la capacità) di ricoprire un ruolo di rilievo, cancellando le differenze tra i generi e confermando la parità tra uomo e donna. Non solo. Se in una frase utilizziamo il termine ‘ministra‘, il nostro interlocutore comprenderà subito che si sta parlando di una donna e, come hanno sottolineato in molti (giornalisti compresi) l’uso del termine declinato al femminile evita di commettere fastidiose storpiature (vedi, ad esempio, una frase tipo: ‘il ministro tal dei tali è incinta’).
Si dice ‘ministra’ o ‘ministro’? In questi termini, dunque, l’enigma è presto risolto: è meglio ministra se si parla di una donna. Come dicevamo, però, la questione suscita ancora diverse perplessità, visto che in molti utilizzano un più generico ‘ministro‘, per indicare sia l’uno che l’altro genere – ‘È abominevole pronunciare la parola sindaca e orribile dire ministra‘, ha detto recentemente Giorgio Napolitano, sulla scia di una dichiarazione (un po’ più vecchiotta) di Stefania Prestigiacomo la quale avvertì della ‘pericolosa assonanza tra ministra e minestra‘.
Polemiche pesudopolitiche a parte, è indubbio che ‘ministra‘ risulti un tantino cacofonico e, talvolta, perfino ironico o canzonatorio, ma ‘le parole nuove, ha commentato il linguista Luca Serianni, suscitano sempre sospetto nella comunità dei parlanti, che per istinto è conservatrice’. Lo stesso Serianni, così come la maggior parte degli esperti, è favorevole alla femminilizzazione di certi termini, visto che, come ha spiegato bene Sergio Lepri (giornalista e già docente di Linguaggio dell’informazione e tecniche di scrittura) ‘l’androcentrismo linguistico è un problema che esiste solo in Italia e che non si pone in francese, in tedesco né in spagnolo, dove addirittura c’è la presidenta‘. Il linguista, inoltre, ha spiegato anche il perché certi termini come la poeta o la professora sarebbero paradossali da introdurre nella nostra lingua, dato che ‘poetessa e professoressa sono storicamente entrate nell’uso’ comune, parlato e scritto.
Si dice ‘ministra’ o ‘ministro’? Il parere della Crusca
In merito alla questione se sia meglio dire ‘ministra’ o ‘ministro’, infine, si è espressa qualche anno fa anche l’Accademia della Crusca, l’istituzione più importante per lo studio e la salvaguardia della lingua italiana. In un comunicato stampa del febbraio 2013, infatti, la rinomata associazione di studiosi ha confermato le sue posizioni sull’opportunità di definire appropriatamente (quindi, con il termine declinato al femminile) il ruolo della donna a capo di un ministero. L’Accademia della Crusca, si legge nel comunicato, ‘tiene a ribadire l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare ruoli istituzionali (la ministra, la presidente, l’assessora, la senatrice, la deputata ecc.) e professioni alle quali l’accesso è normale per le donne solo da qualche decennio (chirurga, avvocata o avvocatessa, architetta, magistrata ecc.), così come del resto è avvenuto per mestieri e professioni tradizionali (infermiera, maestra, operaia, attrice ecc.). Più chiaro di così…