Si scrive “a pieno” o “appieno”? E’ questo uno dei dubbi grammaticali più ricorrenti tra quelli che mettono in difficoltà insegnanti, giornalisti, saggisti e chiunque si occupi di scrittura. La versione “a pieno” sembra essere più delicata e naturale, mentre la versione “appieno” pare essere una delle tante semplificazioni giornalistiche, con raddoppio della consonante, piuttosto sgradevoli all’udito (come “perdippiù” o “tivvù”). Ma è davvero così?
In realtà no: sia la variante “a pieno” che la variante “appieno”, infatti, sono corrette, anche se oggi è la forma univerbata quella utilizzata più di frequente. I termini, che significano “completamente”, “del tutto”, “pienamente”, sono dunque giusti: fin dai primi secoli della lingua italiana sono attestate entrambe le forme.
Mentre l’espressione “a pieno” si trova con maggiore diffusione nel passato, l’espressione “appieno” ha trovato successo specialmente negli ultimi decenni. Esempi di questa locuzione verbale possono essere trovati nella letteratura più nota, come riporta l’Accademia della Crusca.
Da Boccaccio (“Delle quali cose, se io volessi appien dire ciò, che essi mi dissero, non che il presente giorno, ma la seguente notte non ci basterebbe“) a Dante (“Io non posso ritrar di tutti appieno“, nell’Inferno della Divina Commedia), da Petrarca (“Dir si può ben per voi, non forse appieno, Che ‘l nostro stato è inquieto, e fosco“) ancora a Boccaccio (“Non potendo così appieno in quel dì l’ordine da noi preso nel vivere seguitare“), le occorrenze sono molteplici.
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