L’avventura iniziata per le politiche del 25 settembre tra Azione e Italia viva, quindi tra Carlo Calenda e Matteo Renzi, tra alti e bassi (più i secondi dei primi considerati i risultati elettorali, specie quelli delle regionali), dovrebbe arrivare a una sintesi il 10 giugno quando dovrebbe nascere un partito unico, con un unico segretario. Dovrebbe perché, in queste ultime ore, delle dichiarazioni degli esponenti dello schieramento del neo cinquantenne romano stanno minando alla creazione di uno spazio politico liberal-democratico.
Per loro i problemi nascono da alcuni “tatticismi” dell’ex premier fiorentino, che a maggio inizierà ufficialmente anche la sua esperienza da direttore editoriale del Riformista, mentre da Italia viva lamentano l’esatto contrario, ovvero che è il leader di Azione che, invece, vuole dettare le regole di quello che sarà a tutti gli effetti lo schieramento del terzo polo. Intanto si parla di una rottura quasi definitiva tra Calenda e Renzi, che però minerebbe non poco il destino dei due schieramenti alla Camera e al Senato.
Mancano meno di due mesi al 10 giugno, la data scelta da Carlo Calenda e Matteo Renzi per costituirsi come partito unico, e quindi unire Azione, in cui il neo cinquantenne romano è il leader, e Italia viva, lo schieramento dell’ex premier fiorentino, eppure nulla procede come dovrebbe nel terzo polo. O per lo meno così sembra dalle dichiarazioni al veleno che oggi hanno fatto gli esponenti di una parte e dell’altra.
L’alleanza tra i due ex dem – nata dopo che Calenda ha lasciato la coalizione di centrosinistra, quindi quella con il Partito democratico e +Europa, a causa della scelta del suo vecchio schieramento di candidarsi alle politiche del 25 settembre anche con l’alleanza Verdi e Sinistra – di battute d’arresto in questi mesi ne ha avuto parecchie soprattutto dal punto di vista elettorale (non per ultima quella in Friuli Venezia Giulia, in cui il candidato del terzo polo, Alessandro Maran, non solo non è riuscito a superare la soglia di sbarramento, ma ha anche ricevuto meno voti della no vax Giorgia Tripoli), ma non c’era mai stato un problema così palese sui rapporti tra i due leader, che ora è come se stessero dando ragione ai pronostici che non hanno mai visto di buon occhio una loro unione.
Nel merito, un esponente di Azione, rimasto anonimo, in un colloquio con l’Ansa, ha lamentato “che Renzi non vuole prendere l’impegno a sciogliere Italia Viva e a finanziare il nuovo soggetto e le campagne elettorali“. “La pazienza del gruppo dirigente di Azione si è esaurita. In settimana – ha detto ancora la fonte all’agenzia – si capirà se questo nodo si potrà sciogliere. Se così non sarà il partito unico non potrà nascere“.
Tra le lamentele c’è anche la scelta di Renzi di sostituire Ettore Rosato alla guida del partito, così che lui stesso possa “controllarne direttamente i soldi e la struttura. In questo modo ha delegittimato anche il comitato politico della federazione del Terzo Polo dove oggi non siede nessun rappresentante di IV in grado di prendere impegni“. Secondo quanto riportato, “Calenda ritiene inaccettabile questo atteggiamento in quanto contrario agli impegni presi con gli elettori. Dopo mesi di tatticismi da parte di Renzi sul partito unico e le sue assenze dalle attività del Terzo Polo per occuparsi di affari privati, a cui da ultimo si è aggiunto Il Riformista“, ha concluso.
Immediata la risposta di Alessia Cappello e Ciro Buonajuto, portavoce nazionali del partito dell’ex premier, che non solo ci hanno messo la faccia ma hanno di fatto anche ribaltato il fronte delle accuse. “Non c’è nessun tatticismo di Italia Viva. Abbiamo deciso di fare un congresso democratico in cui ci si confronti a viso aperto e non con le veline anonime“, hanno iniziato i due renziani che poi hanno chiarito come ci siano state già fissate le date, ci siano “le regole decise da Calenda comprese quelle sul tesseramento, ci sono i gruppi di lavoro con i nomi già decisi, c’è il comitato politico. Noi siamo pronti al congresso che Calenda ha chiesto di fare. E ci mettiamo nome e cognome. C’è qualcuno che cambia idea una volta al giorno, ma quel qualcuno non siamo noi“.
A mettere pace (più o meno), ci ha pensato uno dei due diretti interessati, che con un tweet ha spiegato che le “polemiche da cortile non ci interessano e non vi prenderemo parte“, che un po’ risulta stonato rispetto a quello che realmente sta succedendo e che potrebbe compromettere, appunto, la creazione di un partito dei liberal-democratici come era stato pensato dai due schieramenti.
E questo perché le parole di Calenda di fatto non hanno chiuso le rivendicazioni. Luciano Nobili, anche lui più vicino a Renzi che al senatore romano, ha detto che “il problema non è se si scioglie Italia Viva, l’impressione è che si stia sciogliendo Azione per le proprie divisioni interne. Meno male che arriva il 10 giugno parte il congresso“, e ha rincarato la dose anche Davide Faraone che ha sollecitato l’ex ministro dello Sviluppo economico a convocare il tavolo di lavoro delle regole, il comitato politico, ma anche e soprattutto a spiegare “come candidarsi al congresso. I tatticismi sono tutti di Calenda, non di Renzi“. Parole più concilianti, per fortuna, sono arrivate da Maria Elena Boschi, braccio destro dell’ex presidente del Consiglio e vicepresidentessa del comitato di Vigilanza della Rai.
Ma non è finita. Perché secondo quello che sta filtrando dagli ambienti, si è andati oltre e si sta per arrivare a un divorzio che, però, Calenda ha escluso che possa esserci. Le motivazioni sono più politiche che altro, innanzitutto c’è da ragionare in vista delle europee del 2024, in cui difficilmente divisi i due schieramenti potrebbero arrivare oltre la soglia del 4% (che, dicevamo, li ha già condannati alle elezioni friulane), ma anche perché separati non avrebbero i numeri per costituirsi come gruppi autonomi a Camera e Senato, e dovrebbero confluire tutti nel misto vedendo sfumare anche parecchi soldi.
In questo rimbalzo di accuse – per cui oggi Italia viva ha convocato una riunione di parlamentari e consiglieri a Palazzo Madama e lo stesso ha fatto anche Azione -, secondo alcuni renziani sentiti da LaPresse, “la vera ragione per cui Carlo è impazzito è che ha capito che qualcuno di noi vuole candidarsi contro di lui“.
Se, infatti, Calenda non ha mai fatto mistero di voler assumere i galloni del leader del terzo polo, qualcuno (e non direttamente Renzi) potrebbe volerlo fare anche dallo schieramento dell’ex sindaco fiorentino, e il nome designato sarebbe quello di Luigi Marattin, anche lui tra i fedelissimi del neo direttore editoriale del Riformista che dalla sua avrebbe un più forte radicamento territoriale che, tra l’altro, nelle varie tornate elettorali si è sempre tradotto in seggi in più per Italia viva rispetto ad Azione (almeno dove si sono raggiunti dei risultati, come a Camera e Senato, nel Lazio e anche in Lombardia).
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