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Categories: Lifestyle

Siamo quello che mangiamo? Diventeremo tutti un po’ meno italiani

[didascalia fornitore=”altro”]Photo by tmcphotos/Shutterstock.com[/didascalia]

Forse non tutti sanno di questo nuovo regolamento europeo, d’altra parte i mezzi di informazione da sempre privilegiano ciò che fa notizia: tra l’ultima dichiarazione di Salvini e il tema delle etichette alimentari – purtroppo – vince la prima.
Se fin’ora non avete fatto caso all’etichetta dei prodotti acquistati è tempo di mettersi in pari. In fondo siamo quello che mangiamo, o no?

Cosa succede quando fate la spesa

Immaginate di trovarvi al supermercato e di dover acquistare tutti gli ingredienti per un tipico piatto italiano: la pasta al pomodoro. Quanti di voi comprando l’olio, i pelati e la pasta si assicurano che siano made in Italy?
Se per il vostro sugo scegliete solo quelli con il tricolore e per condire la vostra pasta usate solo olio extravergine di oliva siete già sulla strada giusta, purtroppo però la vostra buona volontà non vi farà scampare il rischio di ritrovarvi fra le mani sughi a base di concentrato cinese o una bottiglia di olio prodotto con olive tunisine.
E se anche non foste interessati a sostenere la filiera agricola italiana, leggere meglio l’etichetta vi può aiutare ad individuare un prodotto di qualità, tutelato da leggi precise nell’uso dei pesticidi e dei trattamenti chimici, ma soprattutto vi consente di scegliere cosa mangiare senza esser truffati con prodotti di cui non conoscete l’origine.
Se acquistate una confezione pregiata e costosa di olio extravergine d’oliva con tanto di bandierine italiane ma che riporta la dicitura “prodotto con olive comunitarie” o con “miscele di oli comunitari e non comunitari”, non saprete mai dove e come è stato realizzato il prodotto che porterete in tavola e che userete per condire la pasta ai vostri figli.
Fin qui però è colpa vostra, perché in Italia le norme per la trasparenza ci sono o, per lo meno, questa è la direzione perseguita negli ultimi anni. Ma le cose sono cambiate e il falso made in Italy non confonderà solo i consumatori europei ma metterà in difficoltà anche quelli italiani.

Dall’Europa vogliamo di più

[didascalia fornitore=”altro”]Fonte: European Commission – Food Information to consumers.[/didascalia]

La strada segnata dal regolamento UE n. 1169/2011, avrebbe dovuto condurci ad un periodo più roseo nel campo delle politiche alimentari. Il regolamento poneva le basi per una maggiore trasparenza riguardo all’origine della materia prima e non solo alla sua lavorazione, estendendo a tutti i prodotti alimentari l’obbligo di un’etichettatura chiara e dettagliata.
L’impegno portato avanti dal governo Gentiloni e dal MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) non sembra però aver avuto influenza positiva oltre i confini nazionali e, se in Italia, sono nati decreti per aiutare i consumatori a scegliere consapevolmente e per difendere il made in Italy, in Europa moltissime aziende sfruttano il prestigio del tricolore e la qualità riconosciuta all’agroalimentare italiano per vendere meglio prodotti che di italiano non hanno assolutamente nulla.

Starete pensando che almeno noi possiamo stare tranquilli visto che sia sotto il governo Gentiloni con Martina, che ora con le dichiarazioni del ministro Centinaio, la necessità di un’etichettatura chiara e trasparente è stata presentata come una questione prioritaria: sapere se il latte che beviamo a colazione proviene da allevatori italiani o se è stato solo lavorato in Italia, e se la farina usata per i cibi che ci stanno più a cuore, come la pasta e la pizza, proviene dai nostri campi dovrebbe essere un diritto ovvio. Eppure non è così.
Quello che succederà d’ora in poi a livello europeo sembra tradire le promesse del 2011: sarà ancora più difficile conoscere l’origine dei prodotti e, al pari di americani, russi e tedeschi, potremmo cadere nella trappola dei falsi made in Italy.

Il decreto 1169 stabiliva che “l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza” (articolo 26, comma 2).
Semplificato, significa che un marchio commerciale che nel nome o nel packaging dia in qualche modo un’idea dell’origine dell’alimento sarà obbligato ad indicarne l’esatta provenienza.
Insomma, una protezione per il nostro mercato da tutti quei prodotti, che soprattutto negli Stati Uniti e in Sud America, giocano sull’italian sounding per vendere del falso made in Italy, è il caso della “Salsa Pomarola” venduta in Argentina e della “Mozzarella Italia” prodotta in Ungheria, senza parlare dei falsi nel campo dei salumi o del vino.
Purtroppo però la versione finale del testo, giunta dopo anni, permette diciture sommarie e, addirittura, esclude da questa regolamentazione i marchi registrati; in molti casi ai produttori basterà riportare la generica sigla UE o non-UE.

Nonostante le criticità sottolineate da molti Paesi europei che fino a febbraio 2018 hanno avuto la possibilità di esprimersi su questo regolamento e nonostante le dure parole adottate dalla Coldiretti secondo cui lo sforzo fatto non è sufficiente, la Commissione europea sembra muoversi in un’altra direzione, non tutelando il diritto dei consumatori ma favorendo le lobby alimentari che grazie all’italian sounding e ad etichette sempre meno chiare riescono ad attrarre un mercato che vale 60 miliardi di euro.

Insomma “fatta la legge, trovato l’inganno”; se è vero che siamo quello che mangiamo, presto rischieremo di sentirci un po’ meno italiani e, soprattutto, un po’ meno tutelati.

Cosa possiamo fare?

[didascalia fornitore=”altro”]Photo by Monkey Business Images/Shutterstock.com[/didascalia]

Se quando fate la spesa scegliete sempre l’olio che costa meno e al banco della frutta e della verdura optate per pomodori, pesche e fragole a buon mercato, senza preoccuparvi troppo della loro provenienza, con l’entrata in vigore del nuovo regolamento sarete i primi ad essere truffati. Cosa potete fare?
Non limitatevi a scegliere ciò che sembra made in Italy ma leggete bene l’etichetta; se indicare l’origine della materia prima, il luogo di trasformazione e di confezionamento molto presto non sarà più obbligatorio, voi, in quanto consumatori, potete orientare la politica, premiando gli imprenditori che con onestà decideranno di fornirci un’etichetta trasparente.
Perché meritiamo il diritto di scegliere quello che mangiamo; che sia italiano, francese o marocchino. La scelta è nostra e non dell’Europa.

Elena Chioda

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