Sul cofano, sulla calandra, sulla fiancata; grande, piccolo, in rilievo, incastonato come una statuetta: ogni automobile espone in bella presenza un marchio: è il simbolo della casa di cui fa parte, il logo si dice oggi. E’ il suo cognome. Spesso sono artistici, altri sono essenziali. Possono essere immutati da decenni o continuamente rinnovati. Ma tutti permettono immediatamente di riconoscere il costruttore. Indubbiamente il marchio più prestigioso al mondo è il cavallino rampante della Ferrari.
La storia di questo simbolo è universalmente nota, però ripeterla non fa mai male, magari per chi è talmente giovane da essersi appena affacciato a questo magico mondo. Questo racconto comincia nella giovinezza di Enzo Ferrari, nei primi anni Venti, quando ancora correva come pilota. In realtà si deve andare ancora indietro nel tempo, alla prima guerra mondiale e ad un eroe della pionieristica aviazione italiana, un asso, come proprio in quei tempi si cominciò a dire: Francesco Baracca.
Egli era un giovane ufficiale di cavalleria nel 1912 quando, affascinato dal mondo dell’areonautica, prese il brevetto di pilota d’aviazione. Si rivelò subito dotato di eccezionali doti, soprattutto nelle tecniche acrobatiche. Scoppiato il conflitto, fu sua la prima vittoria in assoluto dell’aviazione italiana, cioè l’abbattimento di un aereo nemico. In virtù dei suoi ripetuti successi, nel 1917 Baracca ebbe la facoltà di formare la 91a squadriglia, formata dall’élite dell’intera aviazione nazionale. Sul nuovo velivolo in dotazione Baracca dipinse sulla carlinga un cavallino nero rampante, in onore del reggimento a cui formalmente apparteneva, il “Piemonte Cavalleria” (in quegli anni l’aviazione faceva parte dell’esercito). Francesco Baracca collezionò 34 vittorie prima di venire abbattuto a sua volta, mortalmente, da un velivolo austriaco il 19 giugno 1918.
Torniamo ad Enzo Ferrari. Era il 16 giugno 1923. Il giovane pilota quel giorno vinse il Circuito del Savio, una gara nei dintorni di Ravenna, al volante di un’Alfa Romeo RL Targa Florio. Dopo la gara incontrò il conte Enrico Baracca, padre di Francesco. Questi successivamente gli presentò la moglie, quindi la madre dell’asso caduto in guerra, la contessa Paolina Biancoli. Ella in un’altra occasione gli disse: “Metta sulle sue macchine il cavallino rampante del mio figliolo. Le porterà fortuna“. Questo aneddoto venne raccontato dallo stesso Ferrari, negli ultimi anni della propria vita, allo storico Giovanni Manzoni. Egli specificò che il colore del cavallino è sempre stato nero e che il fondo giallo canarino lo aggiunse lui, perché era il colore di Modena.
Tuttavia passarono diversi anni prima che quel simbolo fu applicato su un’auto da corsa. Accadde il 9 luglio 1932 alla 24 ore di Spa. Enzo Ferrari aveva fondato tre anni prima la Scuderia Ferrari, e in quell’epoca era direttore dell’attività sportiva dell’Alfa Romeo. Il resto è storia, come si usa dire.
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