Il terremoto che ha devastato il nord est della Siria ha portato alla luce una radicata scissione interna tra opposizione e forze governative ma anche la difficoltà di intervento da parte degli aiuti internazionali. I residenti di Jindires, che è ora un cumulo di macerie, hanno espresso rabbia e disappunto per il ritardo degli aiuti, che ha fatto sentire dimenticati e abbandonati i residenti della zona sopravvissuti.
Una situazione tragica che sta inghiottendo i cittadini di Jindires nel nord est della Siria. Una delle zone più colpite che, ora,è ridotta a detriti e la popolazione, che è riuscita a sopravvivere, è disperata e grida la propria rabbia per non aver visto solidarietà e aiuti come nel resto dei territori colori dal terribile sisma. Il problema degli aiuti ai siriani è qualcosa che ha destato sgomento e preoccupazione tra le associazioni umanitarie che si sono mobilitate assieme all’Onu per prestare soccorso tempestivamente.
La questione degli aiuti internazionali alla Siria, dopo la distruzione causata dal terremoto che ha colpito il nord est del Paese, è un argomento che ha sollevato discussioni e critiche. La differenza di mobilitazione globale per offrire solidarietà e soccorsi a Turchia e Siria è stata evidente fino dalle prime ore trascorse dopo la prima scossa.
Ventotto paesi hanno tempestivamente inviato in Turchia squadre di soccorso, per cercare i superstiti sotto le macerie e aiutare i sopravvissuti, mentre per quanto riguarda la Siria le cose sono andate diversamente.
Gli aiuti hanno subito ritardi sostanzialmente per due motivi. Il presidente siriano Assad non ha dato la sua approvazione agli aiuti occidentali subito, in quanto le relazioni sono estremamente incrinate ma soprattutto, non aveva intenzione di far arrivare aiuti diretti nel nord del Paese dove sono residenti i ribelli e gli oppositori politici.
Questo a causa della guerra interna che va avanti da oltre dodici anni tra forze governative e milizie dell’opposizione islamica che si sono ribellate al regime di Assad. Per il capo di stato la lotta ai dissidenti e al terrorismo, che minano la sua autorità, è essenziale e qualcosa di irrinunciabile.
Per capire l’importanza che il presidente siriano dà alla lotta ai ribelli si può prendere un esempio lampante ovvero il bombardamento effettuato da Assad Idlib dopo il sisma che ha colpito la Nazione.
Ma va precisato, anche, che gli stessi gruppi ribelli islamici estremisti non hanno accettato che gli aiuti provenissero da Damasco. La faida interna ha segnato irrimediabilmente le dinamiche all’interno della Siria e gli aiuti provenienti dalla capitale non sono stati accettati, inizialmente, dagli oppositori del regime perché Assad ha chiesto esplicitamente che non venissero inviati direttamente ai ribelli al Nord della Siria ma perché prima fossero controllati ed inviati dalle forze governative siriane al Nord.
Dopo tre giorni di attesa il primo convoglio ha attraversato il confine tra Turchia e Siria nell’unico valico disponibile. Le pressioni occidentali hanno portato Assad alla decisione di aprire altri due punti di accesso tramite il confine per permettere agli aiuti internazionali di fornire il proprio sostegno Alla Siria e al suo popolo in estrema difficoltà.
Successivamente gli aiuti hanno potuto raggiungere le zone del nord della Siria, ma la situazione era estremamente disperata e il mancato intervento tempestivo ha portato il bilancio delle vittime ad aumentare esponenzialmente. I cittadini del nord della nazione hanno espresso il loro malcontento la loro rabbia per essere stati abbandonati dall’occidente e dalla comunità globale in un momento tragico, dove le divergenze politiche dovrebbero essere messe da parte a favore della popolazione che è riuscita a sopravvivere, a favore dei bambini rimasti orfani e di chi e riuscito con le proprie mani ad uscire dalle macerie ma presenta ferite importanti e fino a pochi giorni fa non era presente un adeguato sostegno medico.
Jindires è un paese è un paese che si trova a nord della Siria e attualmente attanagliato dalla morsa del freddo gelo e invernale. Qui la popolazione, che non ha ne cibo ne acqua potabile, ha ricevuto in ritardo di giorni i soccorsi e questo nonostante abbiano gridato a gran voce la loro necessità di beni primari e di aiuto. Questo ha generato malcontento e indignazione e il giornale Guardian ha raccolto testimonianze, direttamente sul territorio, che raccontano la quotidianità dopo il sisma dei superstiti.
Ruqaya Mohammed Mustafa, 58 anni, abitante di Jindires è stata individuata dai giornalisti vicino ai resti di quelli che un tempo erano chiamate abitazioni e insieme a lei i pochi vicini rimasti vivi dal terribile evento tellurico che ha colpito la Siria. Nonostante il difficile momento ha accolto i primi visitatori che hanno raggiunto la zona dopo il sisma.
Lei e vicini rimasti vivi hanno implorato aiuto per estrarre i sopravvissuti dalle macerie dato che senza mezzi opportuni era impossibile per loro salvare chi non era morto nel terremoto. Poi col passare delle ore hanno chiesto riparo dal freddo e cibo ma i loro grido di aiuto non è stato ascoltato. Ruqaya ha riferito ai giornalisti: “Dov’era il mondo quando contava? Perché raccontare le nostre storie quando non c’è più niente?”.
Nel momento in cui i capi degli aiuti internazionali si sono recati a Damasco e Aleppo, controllate dal regime di Assad, la disperazione degli abitanti del nord della Siria si è trasformati in malcontento e rabbia per poi evolvere in estremo dolore. Ruqaya ha spiegato inoltre che: “Abbiamo dissotterrato i corpi a mani nude. Quelli che non siamo riusciti a raggiungere sono morti.”
Vicino a dove si trova la donna mentre racconta il suo dolore e la sua sofferenza si trova un complesso dove almeno 80 persone sono ancora sotto le macerie e non hanno ricevuto aiuto necessario nel momento in cui erano ancora in visita. Ora la necessità e riuscire ad avere anche in questi luoghi a rifornimenti salvavita. Passando dai beni alimentari e primari e medicinali. I residenti che abitano il nord siriano si sentono dimenticati e non è di certo la prima volta che capita, dato che sono dodici anni che la vita quotidiana di queste persone è fatta di paura, morte e distruzione causate dal conflitto tra opposizione e forze governative.
I siriani colpiti dal terremoto ma anche quelli colpiti dalla guerra ritengono che gli organismi globali siano stati insensibili e abbiano scelto di sottomettersi al processo politico interno in atto in Siria.
Quando lunedì Assad ha dato l’approvazione alle Nazioni Unite per l’apertura dei valichi di frontiera nel nord-ovest controllato dall’opposizione sia generato un sentimento di disprezzo nei confronti del regime. Quasi ritenuta come una presa in giro dato che purtroppo tutto ciò che poteva essere fatto in maniera tempestiva e stato invece evitato e la conclusione e che ora e morti sono molti di più.
Jindires è una zona che ospita siriani sfollati da ogni angolo del paese, soprattutto però da, anzi da ava, ospitalità ai dissidenti del governo oh a chi a deciso di sfidare Assad ed è stato costretto successivamente all’esilio appunto
Tareq Aamer fa parte di questi sfollati e ha riferito: “Assad è peggio del terremoto e le Nazioni Unite ci stanno uccidendo di più con la loro politica nei confronti di Bashar. Non abbiamo bisogno di aspettare che aprano le frontiere. Sono già aperti. Perché le persone chiedono il loro permesso?”
Martedì finalmente il primo convoglio di aiuti umanitari non programmati attraversato il confine a Bab al Salam con un carico di tende, medicinali e coperte che, nonostante siano soltanto una piccolissima parte di ciò di cui hanno bisogno i terremotati, ha apportato un minimo di sostegno ai superstiti.
Mouaz Moustafa, direttore della task force di emergenza siriana, ha affermato che: “Il regime di Assad non ha il diritto di essere l’autorità ultima sul destino di milioni di civili nelle aree della Siria non controllate dal regime”.
Spiegando inoltre che: “Le Nazioni Unite non hanno bisogno di una risoluzione (del consiglio di sicurezza) per l’assistenza umanitaria transfrontaliera, eppure consentono ad Assad di essere l’unico rappresentante del popolo che ha oppresso per 12 anni”.
Anche Ali Bakr, 60 anni, chiedeva sostegno per i pochi vicini che erano rimasti in vita. L’uomo ha riferito senza nascondere il suo stato d’animo che: “Ho bisogno di un aiuto mentale per calmare i miei nervi. Ho dissotterrato i corpi con le mie stesse mani.”
A fianco all’uomo si trovava un cittadino trentaseienne del paese distrutto che ha perso tre figli piccoli di quattro mesi, sei e otto anni sepolti sotto lo stesso edificio. Omran Sido ha dichiarato in preda alla disperazione “Come potrò mai riprendermi da questo?” E ha specificato che la situazione per i superstiti: “È peggiorata sapendo che a nessun altro importa.”
Mentre giornalisti del Guardian raccoglievano informazioni e testimonianze a Jindires hanno poi scorto, nei pressi della città di Afrin, un convoglio di aiuti provenienti dall’Arabia Saudita. Nelle immediate vicinanze sventolavano bandiere che annunciavano aiuti anche dal Qatar. Si trattava però di scorte che le associazioni umanitarie presenti sul territorio avevano già e non di aiuti tempestivi.
Uno dei residenti del paese ha riferito ai giornalisti: “Sono andato in Ucraina e ho visto auto delle Nazioni Unite ogni cinque metri”, ha detto un residente, uno dei pochi con il permesso di attraversare la vicina Turchia e viaggiare oltre. Capisco quello che hanno passato. Ma lo abbiamo fatto anche noi e continuiamo a farlo”.
Anche la situazione negli ospedali e riguardo alle scorte di medicinali sono preoccupanti e la popolazione è sfinita sia fisicamente che mentalmente. Afrin ospita uno degli ospedali più grandi della regione che ha accolto 750 pazienti gravemente feriti o morenti appena si è verificata la prima scossa. La maggior parte dei pazienti che sono arrivati erano bambini e adolescenti che hanno purtroppo dovuto subire amputazioni. Wadan al-Nasr che si è occupato della maggior parte degli interventi ha riferito in merito: “Sono le cose più difficili da eseguire. Non tecnicamente, ma per quello che rappresentano”.
Oltre a scene di sofferenza e dolore si sono prostrate davanti ai giornalisti anche storie a lieto fine come quella di Walid Khalil che si è rifugiato all’interno di un palazzetto dello sport insieme alla sua famiglia. La figlia piccola aveva la febbre alta ed era senza forza quando un giovane medico la notata e portata con sé e quando è tornata aveva un lecca lecca e un bicchiere con il medicinale all’interno di cui necessitava la piccola e questa scena ha dato speranza ai presenti e ha ha regalato dopo tanta sofferenza e dolore un barlume di speranza.
Un cittadino di Jindires ha invece inveito contro l’occidente affermando: “I paesi che rivendicano i diritti umanitari sono fondamentali, dove sono? Finiscono per sfruttare la nostra sofferenza. Sembra che si preoccupino più dei diritti degli animali che dei diritti umanitari” proseguendo poi: “Questo terremoto rinuncerà a più corpi, quando potremo raggiungerli”, ha detto. “Ma questo regime ha molti altri segreti che devono essere scoperti. I russi hanno testato su di noi 400 armi e ci hanno trasformati in topi da laboratorio. È miseria in cima alla sofferenza. Il mondo deve aiutarci a ricostruire e deve imparare le lezioni della storia. Assad non è tuo amico”.
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