Vladimir Putin ha annunciato il ritiro delle truppe russe dalla Siria. I primi jet hanno già iniziato a lasciare il Paese nel giorno che segna i 5 anni dall’inizio della guerra. Gli “obiettivi sono stati raggiunti“, hanno spiegato le autorità russe, le loro forze militari hanno “creato le condizioni per far iniziare il processo di pace“: il ritiro è stato organizzato proprio per “per dare inizio ai negoziati politici tra le forze del Paese“. A Ginevra sono infatti iniziati i colloqui tra il governo di Bashar al-Assad e gli oppositori, mentre la tregua sembra reggere. In serata è arrivata anche la telefonata tra Putin e Barack Obama. Il ritiro dei russi, ha spiegato il presidente russo, è arrivato con il consenso di tutti gli attori in gioco, comprese le forze di opposizione al governo, riunite sotto il Free Army Syria. Il processo di pace potrebbe dunque iniziare, se non fosse che parte del Paese rimane ancora nelle mani dell’Isis. A questo si aggiunge la distruzione di un’intera nazione, martoriata da 5 anni di guerra che ha fatto almeno 500mila morti, costringendo la popolazione civile a fuggire o a sopravvivere in zone dove manca tutto.
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Tutto ha avuto origine il 15 marzo 2011, nel pieno delle rivolte ormai note come la “primavera araba“. Il governo di Assad viene messo sotto accusa, gli oppositori riempiono le strade per protestare contro una situazione che dura da 40 anni, da quando la famiglia Assad siede al potere. La situazione degenera con il passare del giorno: Assad invia polizia e militari a sedare le rivolte, le azioni di repressione diventano sempre più violente e il caos prende il sopravvento. Il governo di Damasco inizia a colpire la popolazione civile con bombardamenti (usando le terribili barrel bombs, i barili bomba) e armi chimiche, la comunità internazionale tarda a intervenire perché Assad può contare sul supporto fondamentale della Russia di Putin. La Siria viene lasciata sola e l’Isis, il presunto Stato Islamico, creato da Abu Bakr al-Baghdadi, ne approfitta, conquistando enormi porzioni del Paese.
La guerra è totale: da un lato il regime di Assad, dall’altro i suoi oppositori e, tra i due, le milizie dello Stato Islamico. Dopo 5 anni di guerra, ora potrebbe iniziare il processo di pace, ma sarà un percorso lungo e difficile. La Siria è ancora divisa, alcuni territori sono in mano all’Isis, intere città come Aleppo e Palmira sono state distrutte, i danni sono enormi e, cosa che conta di più, la popolazione civile continua a morire.
Le vittime
Il numero delle vittime della guerra in Siria è incerto. La stessa Onu ha smesso di aggiornare le cifre a metà del 2014 perché risulta impossibile un calcolo reale: secondo le Nazioni Unite i morti dall’inizio del conflitto sarebbero 250mila. Molto più alta e forse più vicina alla realtà è la cifra calcolata dal Syrian Centre for Policy Research (SCPR): 470mila vittime di cui 400mila morti per le dirette conseguenze della guerra (bombardamenti e tattiche militari), gli altri a seguito delle conseguenze indirette come fame, malattie, mancato accesso alle cure mediche. Secondo l’Unicef, oltre 100mila morti hanno meno di 18 anni. Secondo il SCPR, più di un siriano su 10 su un totale di 22 milioni di persone è rimasto ucciso o ferito a causa della guerra. Il tasso di mortalità è raddoppiato: nel 2010 era di 4,4 su mille abitanti, nel 2015 10,9 su mille. Ai morti si sommano anche i quasi due milioni di feriti (1,9 ml secondo le stime del Syrian Centre For Policy Research). La speranza di vita si è abbassata drasticamente, dai 79 anni nel 2010 a 55,7 nel 2015. 400mila le abitazioni distrutte e 1,2 milioni quelle danneggiate.
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I profughi
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La guerra in Siria ha portato alla fuga milioni di persone, circa il 45% della popolazione. Secondo l’agenzia Onu per i rifugiati, a febbraio 2016 erano 4.786.412 i profughi siriani, mentre l’SCPR stima in 6.360.000 i siriani sfollati all’interno del Paese. Il numero maggiori di rifugiati si trova in Turchia che al momento ospita 2,6 milioni di siriani, seguito dal Libano che ne ha accolti oltre un milione, e dalla Giordania, a quota 637mila (dati Unhcr). Secondo l’Unicef, i bambini sono il 51% dei rifugiati siriani: 2 milioni 460mila hanno meno di 18 anni. Il governo turco ha contato 150mila bambini siriani nati in Turchia dall’inizio del conflitto, mentre l’Unicef ha calcolato in 70mila i bambini siriani nati in Libano. L’Unicef ha inoltre confermato che un bambino siriano su tre non ha mai vissuto in periodo di pace: 2 milioni di bambini sono rimasti senza istruzione.
Le armi chimiche
Alle vittime delle bombe, si devono aggiungere anche quelle delle armi chimiche. Si tratta di un aspetto che è passato quasi sotto silenzio negli ultimi due anni. Quello che sappiamo è che il regime di Assad non ha esitato a usare armi chimiche contro la popolazione fin dall’inizio del conflitto, nell’indifferenza generale. Tutto è cambiato il 21 agosto 2013 quando il governo siriano colpisce basi dei ribelli a Goutha e a Moadamiya, sobborghi di Damasco, usando il sarin, il più terribile agente chimico: morirono 1.347 persone con oltre 10mila feriti. La notizia provocò la reazione degli Stati Uniti, con Barack Obama pronto a entrare in guerra contro Assad: la diplomazia fece calare la tensione, obbligando il regime siriano con una risoluzione Onu (la 211) allo smantellamento dell’arsenale chimico.
La questione venne quasi dimenticata, ma non dalla popolazione. Un rapporto della Syrian American Medical Society, pubblicato a marzo 2016, ha riunito tutti i dati recuperati nel paese da Ong, medici e ospedali, testimonianze dirette e cartelle cliniche: dal 23 dicembre 2012 al 25 ottobre 2015 ci sono stati 161 attacchi con armi chimiche che hanno portato a 1.491 morti e 14.581 feriti. Il 77% degli attacchi, sottolinea il rapporto, “è avvenuto dopo la risoluzione dell’Onu numero 211“. A usare le armi chimiche non è solo il regime di Assad. L’intelligence americana ha rivelato che anche l’Isis è in grado di produrre armi chimiche, dal cosiddetto gas mostarda o iprite, alla clorina, e le usa spesso nei combattimenti.
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