Dopo due anni di battaglie per tenerla in vita, Sissy Trovato Mazza è deceduta a seguito di un’infezione che ha fatto precipitare il delicato quadro clinico. Ieri avrebbe dovuto compiere 29 anni. Il primo novembre del 2016, l’agente di polizia penitenziaria, originaria di Reggio Calabria, fu ferita da un colpo di pistola alla testa, mentre si trovava in servizio all’Ospedale Civile di Venezia. Trasportata in elisoccorso a Mestre, Sissy era in condizioni critiche: da quel momento è entrata in coma e non ne è mai uscita. Ad oggi rimane un alone di mistero sulle cause della sua morte. I Genitori chiedono chiarezza. Il loro dolore si mischia all’indignazione del licenziamento della figlia mentre era in coma.
Soprannominata Principessa guerriera, Sissy si batteva da 5 anni per i diritti delle detenute del carcere della Giudecca, dove lavorava: aveva denunciato lo spaccio di droga e comportamenti illeciti assunti da alcune colleghe. Secondo il papà Salvatore, che da subito ha rifiutato l’ipotesi di un tentativo di suicidio, è da ricercare in questo fatto il significato della morte della poliziotta.
La rabbia e il dolore dei famigliari
I famigliari di Sissy ora voglio conoscere la verità: ‘Non auguro a nessuno quello che stiamo provando in questi giorni, però una cosa voglio che si sappia: Sissy ha lottato come una leonessa per 26 mesi. Ha combattuto per rimanere in vita e non ha mai mollato’, ha dichiarato Salvatore.
‘Noi dobbiamo capire cos’è successo, la Procura di Venezia ha accettato di prolungare le indagini e speriamo che, ora, si decidano a far luce sul serio. Non azzardatevi a parlare di suicidio finché non avremo saputo la verità, fino a quando non avremo chiarito tutti i punti oscuri di questa vicenda’, ha aggiunto il padre della vittima.
Il licenziamento mentre era in coma
Al dolore di aver perso una figlia, per Salvatore e Caterina si uniscono la rabbia e l’indignazione verso le istituzioni: ‘L’hanno abbandonata mentre era in coma e lei faceva parte di questo mondo. L’hanno licenziata a febbraio e liquidata con 6.700 euro, questo valeva per lo Stato la vita di mia figlia’. Inoltre, pur non negando il grande lavoro svolto sinora dagli inquirenti veneziani, sostengono che ‘non hanno mai risposto alle nostre domande, hanno esaminato il cellulare di mia figlia? Perché è entrata in quell’ascensore? Qualcuno le aveva dato un appuntamento? Noi abbiamo il diritto di sapere, per loro invece dovrebbe essere un dovere’.
L’inchiesta è ancora in corso, si attendono gli esiti dell’esame autoptico.