Social House, su Rai 4 un programma a tre dimensioni

rai 4 social house

Il boom del genere lifestyle, negli ultimi anni, ci ha abbondantemente abituati a programmi dedicati a makeover e ristrutturazioni; Social House, la nuova proposta di Rai4, va però decisamente oltre. Va oltre per il concept, innanzitutto: i TheShow, noti youtubers, restano chiusi per un mese in una casa in stato di abbandono nei pressi di Cassina de’ Pecchi, nel milanese, per ristrutturarla. Non hanno nulla con sé: né vestiti, né cibo, né denaro. A loro disposizione solo una connessione wi-fi, uno smartphone e un pc, attraverso cui interagire con il popolo dei social per cercare di coinvolgerlo nella loro impresa.

Ma Social House va anche oltre per la finalità: lo scopo del programma è quello di trasformare la casa in uno spazio di aggregazione che verrà donato alla comunità.
Un progetto, per così dire, tridimensionale: c’è l’output televisivo cioè il docu reality che documenta l’impresa dei TheShow. Ma prima ancora c’è il web, ci sono i social network, attraverso cui i due ragazzi cercano di reclutare persone che in svariati modi possano dare loro una mano ed è proprio il popolo del web a diventare co-protagonista di questa avventura. E’ così che a Social House arrivano i personaggi più disparati, ai momenti più buffi e goliardici si alternano anche racconti di stralci di vita e non manca il coinvolgimento spontaneo di volti noti come, per esempio, il cantante Michele Bravi che improvvisa un concerto per aiutare a raccogliere i soldi necessari per pagare… un Wc!

E poi c’è la dimensione della realtà: il progetto non è fine a se stesso, ma ha un obiettivo sociale. Ecco allora che il prodotto televisivo diventa una cornice all’interno della quale il mondo virtuale, quello filtrato dagli schermi di smartphone e pc, si connette con quello assolutamente reale e concreto della ristrutturazione: c’è chi si cimenta nelle vesti di operaio, chi porta cibo ai due youtubers, chi procura mobili.

Un concept davvero crossmediale, un’idea moderna e interessante, anche se talvolta stenta un po’ a reggere nella resa, faticando a tenere viva l’attenzione per l’intera puntata.
A Social House va riconosciuto il merito di sperimentare uscendo dal cliché della tv “fatina buona”, che realizza sogni e risolve problemi, e trasformando invece il piccolo schermo quasi in un pretesto per creare una rete virtuale, ma che poi diviene assolutamente reale e concreta, di operatività.

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