Secondo l’indagine sul “southworking” realizzata da Datamining per la Svimez su 150 imprese con oltre 250 addetti, attive nelle diverse aree del Centro-Nord nei settori del manifatturiero e dei servizi, sarebbero 45mila i lavoratori assunti da grandi aziende del Nord Italia che da inizio pandemia lavorano in smart working al Sud. E si stima che il fenomeno potrebbe essere ben più esteso.
I lavoratori del southworking, secondo lo studio, potrebbero riempire 100 treni Alta Velocità, ma, come detto, potrebbero essere molti di più: i dati delle piccole e medie imprese con oltre 10 addetti sono infatti più difficili da rilevare. Alzando così la stima di Svimez a circa 100mila lavoratori, dall’inizio del primo lockdown: una fetta importante tenendo conto che gli occupati meridionali che lavorano per le imprese del Centro-Nord sono circa due milioni.
Per anni si è parlato della mancanza di capitale umano nel Mezzogiorno e nelle aree periferiche del nostro Paese. Il southworking, rileva lo stesso studio, avrebbe in questo senso il potenziale di offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centro-Nord la possibilità di lavorare dai rispettivi territori di origine.
Il Rapporto Svimez propone quindi di scegliere fasce mirate di lavoratori cui concedere il southworkig, ad esempio i giovani laureati, tra i 25 i 34 anni. Avvalendosi dei dati Istat sulla forza lavoro e quelli relativi all’indagine sull’inserimento professionali dei laureati italiani, la platea di giovani potenzialmente interessati corrisponde a circa 60mila unità.
Tra i vantaggi di un ritorno alle aree del Mezzogiorno figurano il minor costo della vita e la possibilità di trovare abitazioni a basso costo. Per quanto riguarda gli svantaggi, lo smartworking costringerebbe i lavoratori ad avvalersi di servizi sanitari e di trasporto di minor qualità, poca possibilità di far carriera e minore offerta di servizi per la famiglia.
Mentre per le aziende, i vantaggi principali del southworking sarebbero la flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. C’è però da considerare la “perdita di controllo” sul dipendente, l’investimento a carico dell’azienda per arrivare sistemi di tele lavoro e per la sicurezza informatica.
Lo studio propone quindi strumenti di policy per spingere le aziende al passaggio: incentivi di tipo fiscale o contributivo per le imprese del Centro-Nord che attivano southworking, riduzione dei contributi, credito di imposta una tantum per postazioni attivate, estendere la diminuzione dell’Irap al Sud a chi utilizza lavoratori in southworking in percentuale sulle postazioni attivate, creazione di aree di coworking promossa dalle Pubbliche amministrazioni.
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