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Categories: Cronaca

Sovraffollamento carceri, le pene alternative sono la soluzione giusta?

Il problema del sovraffollamento delle carceri è qualcosa, le cui radici vanno rintracciate molto nel passato. La situazione, che risulta in base ai dati disponibili, è davvero drammatica. Ne viene fuori un Paese in preda alla barbarie, dove i diritti umani vengono calpestati. A provocare problemi non sono soltanto gli spazi che mancano e le strutture che accolgono più detenuti rispetto a quanto potrebbero. Si tratta anche di un problema di ordine, che il sovraffollamento non riesce a garantire. Di conseguenza per i carcerati diventa difficile ogni azione del vivere quotidiano, mancando le condizioni necessarie perché la vita in uno spazio delimitato possa ritenersi accettabile.

Anche agli occhi degli altri Paesi ciò che viene fuori è qualcosa che non si dovrebbe mostrare, non soltanto perché si vuole rimanere nell’indifferenza, ma perché si rivela tutta la mancanza di soluzioni e di interventi, che fino a questo momento avrebbero dovuto essere presi, per non giungere al disastro.

I dati

Nelle carceri italiane ci sono 67.437 detenuti. Un numero esagerato, se pensiamo che la capienza regolamentare è di 45.281. Il sovraffollamento carcerario raggiunge il “primato” europeo del 140%. Il problema è aggravato dal fatto che restano in carcere molti detenuti imputati, che non sono stati giudicati colpevoli in via definitiva. Si calcola che il 44% del totale dei carcerati appartenga proprio a questa categoria.

Tutto ciò influenza altri dati che fanno ancora di più rabbrividire. Basti pensare, in questo senso, al numero particolarmente alto di persone morte in carcere. A tutto questo si aggiunge la situazione particolarmente pericolosa dei tagli, che negli ultimi 10 anni hanno toccato il 22% del bilancio dell’amministrazione penitenziaria. Si è passati dal 2001, in cui la spesa media per un detenuto al giorno era di 131,9 euro ad oggi, quando si spendono soltanto 113 euro.

Le pene alternative

Il sistema legislativo approvato alla Camera stabilisce delle pene alternative al carcere. Fra le principali novità ci sono i domiciliari come pena principale, che dovrà diventare automaticamente applicabile a tutti quei delitti, che prevedono una carcerazione massima fino a 3 anni. La detenzione non carceraria può avere una durata continuativa e può essere stabilita per singoli giorni della settimana oppure a fasce orarie. Eventualmente può essere stabilito l’uso del braccialetto elettronico.

Poi ci sono i lavori di pubblica utilità, che possono essere affiancati nel caso dei reati in cui è prevista la detenzione domiciliare e possono avere la durata minima di 10 giorni. C’è anche la sospensione del processo con messa alla prova: l’imputato viene impegnato in lavori di pubblica utilità, viene spinto a prestazioni riparatorie o risarcitorie e contemporaneamente si affida al servizio sociale il compito di mettere in atto un programma di recupero. Se l’esito di tutto ciò è positivo, si ha l’estinzione del reato.

Di certo queste pene alternative possono rappresentare un punto d’inizio, per affrontare una situazione ai limiti dell’accettabile. Sta a vedere se nel tempo tutte queste misure si riveleranno all’altezza di riuscire a porre rimedio ad una situazione che ha raggiunto il limite. Forse si dovrebbe guardare al passato, per vedere che cosa non si è fatto, ma allo stesso tempo occorre pensare a non commettere gli stessi errori e a superare la situazione di stallo in cui ci si trova attualmente. E’ difficile dire se le pene alternative rappresentino veramente una soluzione definitiva. Soltanto un sistema di monitoraggio attento potrà smentirlo o confermarlo.

Giorgio Rini

Giorgio Rini è stato collaboratore di Nanopress dal 2014 al 2017, occupandosi principalmente di politica, cronaca e spettacoli.

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