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Il 31enne Buba C. di origine gambiana era stato arrestato a fine giugno e processato per direttissima con l’accusa di spaccio di sostanze stupefacenti. Nelle sue tasche erano state trovate 5 pasticche di Ecstasy. Portato nel carcere di San Vittore, dopo meno di un mese è stato scarcerato dal Tribunale del riesame di Milano ed è quindi stato rimesso in libertà per “assenza di gravi indizi” nonostante fosse un recidivo, dato che già in gennaio era stato sorpreso a vendere sostanze illecite in piazza e si era ‘guadagnato’ un’altra denuncia per spaccio.
L’uomo era stato respinto dalla Svizzera come clandestino nel novembre 2016, in Italia si è fatto conoscere per la sua attività di spacciatore non solo a Milano, anche a Como. Sulla sua testa, oltre che le denunce di spaccio pesano altre due denunce nell’ultimo anno, una per falsa attestazione dell’identità personale e per ricettazione.
I giudici hanno però deciso di rilasciare Buba C. accogliendo le richieste della difesa, e confermando quindi che l’uomo è stato costretto a fare lo spacciatore perché, scrivono nelle motivazioni della sentenza, non aveva altro modo per sostentarsi dato che non percepiva ”alcun provento derivante da attività lavorativa, lo spaccio appare l’unico modo per mantenersi”. Il punto cruciale, comunque, è un altro, ossia ”I limiti di pena previsti dall’articolo 73, comma 5 della legge 309 del 1990 non consentono la custodia cautelare in carcere” per lo spacciatore, anche perché ”il dato ponderale” (le 5 pillole di ecstasy) è molto contenuto”.
Il tribunale ha riconosciuto però, proprio per tali premesse, che sussiste il pericolo di reiterazione. I giudici del Tribunale del riesame hanno quindi ammesso che c’è ”un concreto e attuale pericolo di reiterazione di analoghi reati, tenuto conto dei precedenti specifici. L’ultimo risale a pochi giorni prima dell’arresto”. Ma concludono: ”Posto che il reato è stato commesso a Milano” e che le impronte sono tutte relative ”a fatti commessi in questa città, va applicato il divieto di dimora nei territori del Comune di Milano, onde ad allontanare il ricorrente dal contesto territoriale in cui ha operato”.