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Carlo Cottarelli è sempre più vicino alle dimissioni, forse già a ottobre. L’indiscrezione arriva dal Corriere della Sera che da tempo monitora la situazione della spending review 2014 e che aveva già lanciato dalle sue pagine una richiesta rimasta inevasa da parte del governo: dove sono i documenti frutto del lavoro del commissario? Alla base della presunta decisione di Cottarelli, il ritardo del governo di Matteo Renzi nel pubblicare proprio i dossier e la scelta del premier di ridurre il potere decisionale del commissario. Ad alimentare un clima già teso arriva la pubblicazione il 30 luglio di un post sul blog della spending review, intitolato “La revisione della spesa come strumento per il finanziamento di… nuove spese”.
Nel blog Cottarelli si scaglia contro un metodo di lavoro che il governo ha mantenuto rispetto ai suoi precedenti e che rischia di far naufragare tutto il lavoro portato avanti in questi mesi. “Si sta diffondendo la pratica di autorizzare nuove spese indicando che la copertura sarà trovata attraverso future operazioni di revisione della spesa o, in assenza di queste, attraverso tagli lineari delle spese ministeriali”, scrive il commissario, citando come esempio il finanziamento del pensionamento per i “quota 96”.
“Il totale delle risorse che sono state spese prima di essere state risparmiate per effetto di queste decisioni ammonta ora 1,6 miliardi per il 2015. Intendiamoci: tecnicamente, la copertura c’è. Ma questa è in realtà costituita da tagli lineari perché la promessa di future operazioni di revisione della spesa non può essere accettata come copertura sul piano giuridico”, insiste Cottarelli.
In pratica “le risorse che deriveranno dalla revisione della spesa per il 2015 non potranno essere usate per la riduzione della tassazione (o del deficit o per effettuare altre spese prioritarie). Oppure che si dovranno attivare i tagli lineari” che la spending review vorrebe evitare. Una situazione definita da Cottarelli “paradossale in cui la revisione della spesa (futura) viene utilizzata per facilitare l’introduzione di nuove spese”.
Il rapporto con il premier è stato difficile per il commissario in questi mesi. Nominato da Enrico Letta, con cui era più in sintonia, e confermato da Renzi, Cottarelli ha vissuto in prima persona il cambio di governo. L’azione dell’esecutivo è più incisiva ed è protagonista di scelte in prima persona su tagli e sprechi, lasciando a lui e al suo gruppo di lavoro un ruolo più da consulente esterno che propositivo.
In questo senso si leggerebbe anche il ritardo della pubblicazione dei 25 dossier già pronti e che il governo non ha reso pubblici. Il dubbio è che le proposte del commissario possano innescare problemi al momento insormontabili per Renzi, tanto è vero che due delle voci più grosse della spesa pubblica come la Sanità e le Pensioni sono state tolte dal piano d’intervento, il primo con il nuovo Patto della Salute, il secondo per chiara volontà dell’esecutivo. Se la tendenza individuata dal commissario si confermerà nei prossimi mesi, il suo addio sarà inevitabile, con Renzi già pronto a sostituirlo, forse con un suo fedelissimo.
Il taglio della spesa pubblica secondo Cottarelli
Eppure proprio l’arrivo di Matteo Renzi aveva dato una definitiva collocazione nelle strategie economiche della spending review, già allo studio dall’ottobre 2013. Il taglio alla spesa pubblica deve servire a finanziare le riforme promesse dal premier, a partire dal taglio del cuneo fiscale. Riforme tutte da ottenere senza fare ricorso a nuove tasse, ecco perché nel calderone dei tagli è finito davvero di tutto. Raggiungere l’obiettivo di ridurre la spesa pubblica di 32 miliardi in un triennio non è certo cosa semplice, e infatti il programma presentato da Cottarelli verrà sviluppato in più fasi da qui al 2016. Non di soli tagli vive, però, la spending review, perché in discussione c’è una revisione complessiva dell’apparato amministrativo pubblico.
Fare due conti non è poi così difficile: il taglio del cuneo fiscale costa circa 6,7 miliardi di euro solo per il 2014. Qual è il modo più veloce per reperire i soldi necessari alla misura? Fermo restando che qualche aumento di tasse ci sarà, ma che toccherà solo determinate categorie (chi ha rendite finanziarie che non derivino dai BOT, ad esempio), la seconda scelta ricade sui tagli di spesa. Del totale necessario, 4,5 miliardi dovrebbero arrivare dal risparmio sulla spesa pubblica: un miliardo dalla razionalizzazione della sanità, ora però affidato al Patto della Salute; una cifra non ben specificata dal taglio degli stipendi dei manager, esteso anche ai dirigenti pubblici e a magistrati, alte gerarchie militari e professori universitari; 800 milioni dal risparmio sull’acquisto di beni e servizi; un ulteriore miliardo dal taglio alle agevolazioni per le imprese e almeno altrettanti da un intervento sulla commessa per i famigerati cacciabombardieri Usa F35.
Oltre a centralizzare le spese – un aiuto viene dall’abolizione delle province – il commissario pensa di introdurre nella pubblica amministrazione la pratica della cosiddetta “performance budgeting”, cioè la misurazione dell’efficienza dei dirigenti-manager sulla base delle risorse assegnate e degli obiettivi prestabiliti. Ieri, il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando (Pd) si domandava se il governo “avrà la forza politica necessaria per reggere la reazione difensiva di quei larghi settori dell’amministrazione che vorrebbero lasciare le cose come stanno“.
Spending review, il progetto del governo Renzi per tagliare la spesa pubblica e trovare, al contempo, i fondi necessari a finanziare le riforme, taglio del cuneo fiscale in primis, si articola con le novità proposte da Cottarelli. Quando si tratta di impugnare le forbici, le polemiche sono inevitabili perché ognuno ha opinioni diverse su cosa (e quanto) andrebbe tagliato.
Mettere mano alla spending review significa anche andare a toccare gli interessi di quanti, dagli sprechi di denaro pubblico, sono riusciti a lucrare e costruire fortune. Personaggi di cui non è facile liberarsi e che occupano poltrone spesso strategiche per il funzionamento dell’apparato amministrativo. Così cerchi di tagliare gli stipendi dei manager e arrivano le accuse di Mauro Moretti, AD delle Ferrovie; cerchi di ridurre le spese della burocrazia e arriva il Presidente Napolitano che invita ad evitare i ‘tagli immotivati’; cerchi di eliminare gli sprechi della politica e i tuoi stessi ministri ti remano contro. La strada per Renzi, con queste premesse, è tutt’altro che spianata. Anche perché le sue scelte in fatto di spending review sono destinate a far discutere.
COSTI DELLA POLITICA
Un progetto di tagli della spesa pubblica non può che partire dalla sacrosanta riduzione delle spese per la politica. Da questo punto di vista le proposte sul tavolo di discussione sono diverse, non tutte condivise dalle forze politiche. Resta in stand-by, ad esempio, la riduzione dei parlamentari e l’abolizione del Senato, oggetto di una battaglia parlamentare da mesi. Secondo il piano di Carlo Cottarelli, commissario alla spending review, nel 2014 i tagli dovrebbero articolarsi secondo un elenco dettagliato di 33 voci, suddivisi per 5 capitoli di spesa. Per quel che riguarda la politica e la burocrazia, le principali voci di risparmio riguardano beni e servizi (800 milioni) di Comuni e Regioni, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, la pubblicazione telematica degli appalti pubblici (200 milioni), riduzione delle consulenze e delle auto blu (100 milioni). Infine, altri 400 milioni dovrebbero arrivare dalla riduzione sulla commessa per i famigerati F-35 e dalla possibile dismissione della portaerei Garibaldi.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Razionalizzare e semplificare sono le parole d’ordine per quel che riguarda la pubblica amministrazione che, nelle intenzioni del piano di Cottarelli, dovrebbe portare (anche grazie al lavoro della Consip) a 2,2 miliardi di euro da qui a fine anno, per 7 miliardi complessivi nell’arco del 2014. Risparmio che dovrebbe assestarsi a 5,2 miliardi nel 2015 e raggiungere la quota record di 12,1 miliardi nel 2016. Fin qui le cifre teoriche, ma come verranno risparmiati nella realtà questi soldi? 100 milioni arriveranno dalla razionalizzazione dei corsi di formazione, 2 miliardi derivanti dalla riduzione dei trasferimenti inefficienti (1,4 miliardi dalla riorganizzazione dei trasferimenti alle imprese, 300 milioni dai trasferimenti alle Ferrovie, 100 dalle partecipate locali del trasporto pubblico, 200 da finanziamenti vari). In aggiunta, c’è da discutere il tema della riorganizzazione delle province. A quanto pare ora ci siamo davvero, e presto le province ‘minori’ dovrebbero essere accorpate o cancellate (100 milioni di risparmio stimato).
TAGLI AGLI STIPENDI DEI MANAGER
Con le nomine dei nuovi manager di importanti aziende pubbliche (Eni, Enel, Poste Italiane, Finmeccanica e Ferrovie dello Stato), è arrivato anche l’annuncio che gli stipendi dei top manager saranno sottoposti a un tetto massimo decisamente più basso di quanto percepito da alcuni oggi. Vero è che sono escluse le aziende pubbliche quotate in Borsa, ma è anche vero che la misura dovrebbe essere estesa ai dirigenti di fascia più bassa e anche a categorie pubbliche che fanno parte di comparti separati (magistrati, ambasciatori e prefetti).
Per finanziare il taglio del cuneo fiscale, parte delle risorse verranno recuperate proprio dal taglio dello stipendio dei manager, che è quindi guidato da uno scopo pratico ancora prima che etico. Secondo lo schema tracciato in questi giorni, dovrebbero essere stabilite quattro fasce di retribuzione per i manager: 239 mila euro lordi l’anno per i top manager, la stessa cifra del presidente della Repubblica; 190 mila euro per i capi dipartimento; 120 mila euro per i dirigenti di prima fascia e 80 mila euro per i dirigenti di seconda fascia.
TAGLI ALLE FORZE DELL’ORDINE
La spending review del governo Renzi dovrebbe colpire le forze dell’ordine, con un piano di tagli a polizia e carabinieri che ammonta a circa 600 milioni di euro, cui vanno aggiunti altri 100 milioni derivanti dalla riorganizzazione dei vigili del fuoco. Il piano che il governo sta mettendo a punto prevede un riassetto complessivo del sistema di sicurezza in Italia, dalla chiusura dei presidi minori all’accorpamento di altri, dall’istituzione di una centrale unica per gli acquisti necessari alla disdetta dei contratti di affitto con privati per trasferire le caserme in edifici del demanio. Lo scopo non è solo quello di rendere razionale e più reattivo il sistema ma, soprattutto, risparmiare sulle spese di sicurezza.
Ed è per questo che in sede di spending review si pronostica un taglio di 700 milioni complessivi tra polizia, carabinieri e vigili del fuoco. Un progetto così drastico non poteva che scatenare il dissenso dei diretti interessati, che hanno risposto attraverso il sindacato di categoria, il Sap: “Altro che spending review, così si mette a rischio la capacità di indagine e dunque la protezione dei cittadini“. Una profezia che puzza anche di avvertimento: senza soldi non sarà garantita la sicurezza degli italiani. Il che, in uno stivale martoriato dalla criminialità micro e macro, dove le organizzazioni malavitose nazionali si alleano con quelle provenienti dall’estero e le bande si contendono il controllo del territorio, non è proprio una notizia felice. Anche perché non è che fino ad oggi le forze dell’ordine navigassero nell’oro. Ci saranno stati anche sprechi, ma se in una caserma manca persino la carta e le volanti non hanno la benzina (nonostante la propaganda della Lamborghini usata come volante), allora il problema è più profondo.
Il piano di tagli sarà sviluppato secondo le seguenti linee di pensiero:
– Eliminare e accorpare i presìdi di Postale e Ferroviaria, una lista che comprende 72 sezioni della Postale, 52 squadre nautiche, 72 sezioni della Ferroviaria, ma anche i Rips (Reparti di intervento della polizia stradale di Milano, Roma e Napoli), per un totale di 265 sezioni di polizia, alle quali si aggiungono 7 compagnie e 17 stazioni dell’Arma.
– Eliminare i privilegi dei dirigenti (auto blu incluse) e spostare tutti gli uffici distaccati che si trovano in palazzi presi in affitto presso caserme dismesse o altri immobili del Demanio.
– Accentrare il processo di acquisto di mezzi e apparecchiature in un unico blocco, così da poter accedere alle agevolazioni previste in casi del genere.