La sperimentazione animale manca di rigore scientifico, e pertanto, oltre che dannosa per le cavie, risulta essere anche completamente inutile. A sostenere questa tesi non è qualche gruppo ambientalista radicale, ma uno studio dell’Università di Edimburgo pubblicato sulla rivista media PlosBiology, che è andato a verificare la validità dei test medici effettuati sugli animali, prendendo in esame migliaia di casi: il risultato emerso è che nella maggioranza dei casi gli esperimenti sono stati progettati in modo tale da enfatizzare i reali benefici dei medicinali in sperimentazione, producendo rischi per la salute dei volontari ed un enorme spreco di fondi una volta che i supposti benefici si dimostrano inconsistenti quando si passa ai test sull’uomo. Non è certo il primo no alla sperimentazione animale che proviene dal mondo scientifico, ma di certo si tratta del più accurato e documentato nel mettere in dubbio la solidità del metodo.
Malcom MacLeod, primo autore dello studio, non esita a definire scadenti i risultati della sperimentazione animale, con enormi distorsioni dei dati pubblicati da riviste specializzati e centri di ricerca considerati eccellenze del settore, puntando il dito proprio su questi conflitti d’interesse e superficialità nelle pubblicazioni: ‘Effetti positivi importanti o scoperte interessanti possono portare alla pubblicazione su riviste ad alto impact factor, mentre tali osservazioni sono dovute al caso, a una cattiva progettazione dello studio, o alla selezione degli effetti statisticamente significativi’, dichiara MacLeod, sottolineando come su 146 studi pubblicati dal 1941 al 2012, solo nel 20 per cento di essi veniva dichiarato l’uso della randomizzazione, ovvero l’assegnazione casuale degli animali che riceveranno il farmaco o che serviranno da controllo, solo nel 3 per cento il cieco, in cui i ricercatori che valutano i risultati non sanno quale animale ha ricevuto il farmaco e chi no, mentre nel 90 per cento di tali ricerche addirittura non era allegata la dichiarazione di conflitti di interessi degli sperimentatori.
Questo studio tenderà inevitabilmente a rinfocolare le polemiche tra chi chiede una moratoria per mettere al bando la sperimentazione animale, e chi invece continua a ritenere non solo valido ma insostituibile l’uso degli animali per testare i farmaci. In tal senso si è già espresso il Centre for the Replacement, Refinement and Reduction of Animals in Research britannico, che pur condannando le cattive pratiche che vanno in direzione contraria alle linee guida stabilite per la sperimentazione animale, ha sottolineato che non dichiarare esplicitamente l’adozione di misure contro le distorsioni dei risultati non vuol dire che esse non siano state implementate.
Una dichiarazione che a noi profani della materia appare quanto meno ambigua e fumosa: quali sono allora i criteri per stabilire l’efficacia o meno di una ricerca, e di conseguenza anche per l’ottenimento dei finanziamenti, se le informazioni necessarie vengono occultate? Come si può garantire il rigore scientifico di una sperimentazione che presenta tali opacità? Lo studio di MacLeod sembra mettere a nudo le debolezze di un intero sistema che coinvolge tanto gli scienziati quanto le riviste di settore e i centri di ricerca, che dovrebbero essere attentamente analizzate prima di concedere un qualsivoglia finanziamento. Sembra difficile continuare a sostenere la bontà della sperimentazione animale di fronte a dati così impietosi.