Spotify spegne dieci candeline. Dieci anni di musica, di singoli, di album. Dieci anni di emozioni, di lacrime, ma anche di sorrisi. Ma anche dieci anni di riflessioni, di puntate di podcast ascoltate, di conoscenza. Ecco quali sono stati i brani, gli artisti e i programmi più seguiti.
Il 23 febbraio del 2013 Spotify veniva letteralmente trasportato in Italia. Esisteva già da quasi cinque anni in altri Paesi ed era stato ideato tecnicamente circa sette anni prima, ma qui non se ne parlava ancora. Ecco cos’è successo nell’ultimo decennio nella musica italiana.
Spotify spegne dieci candeline. Ebbene sì, ma sia chiaro: solo nella sua Italy-version, perché tecnicamente esiste da ben 15 anni, ma è stata progettata circa 17 anni fa. Era infatti il 2006 quando la Spotify AB – con sede a Stoccolma – decise di mettere a punto la piattaforma. Il suo nome derivava dal mix tra “spot” e “identify” e l’idea di darle vita venne a Daniel Ek, ex CTO di Stardoll e Martin Lorentzon, cofondatore di TradeDoubler.
Quello era un periodo in cui l’industria musicale stava iniziando a cambiare: ormai gli album e i vinili (soprattutto) stavano passando di moda. Tutto stava iniziando piano piano a digitalizzarsi, stavano iniziando a diffondersi i file condivisi sulle reti peer-to-peer. Era quello il periodo in cui stava iniziando a spopolare YouTube, che iniziò di fatto a consentire la condivisione e la visualizzazione di contenuti multimediali, tra cui anche ovviamente videoclip (prima il software più celebre era ITunes, che però permetteva solo di ascoltare i brani e non di vedere anche esibizioni live e video). C’è da dire che sull’app la maggior parte dei contenuti già all’epoca erano liberi, cioè potevano essere visualizzati da chiunque gratuitamente, anche se oggi sappiamo benissimo che ci sono eccezioni, come i video caricati in modalità “premium”, che possono essere visionabili solo previo abbonamento (il costo viene deciso dal cosiddetto creator, cioè il gestore del canale).
Qui subentra la prima pecca di Spotify. Sì, perché la piattaforma ha iniziato a essere distribuita a partire dal 7 ottobre del 2008, ma inizialmente gli account gratuiti era fruibili sono tramite invito, mentre quelli a pagamento erano utilizzabili da tutti. Solo il 10 febbraio del 2009 anche gli account gratuiti divennero disponibili per tutti (ma solo nel Regno Unito inizialmente): nel mezzo, una perdita di 4,4 milioni di dollari, nonostante gli accordi di licenza con molte grandi case discografiche.
Negli anni di cose ne sono successe, ma quello che ci interessa più di tutto è che dovremo aspettare il 2013 per poter vedere diffondersi il servizio anche in Italia. Era il 23 febbraio precisamente, ormai anche i social stavano prendendo piede (Facebook più di tutti, anche se oggi è considerato dai giovani la piattaforma dei boomer) e Spotify arrivò per sbaragliare la concorrenza e spopolare.
Ma cos’è accaduto in questi dieci anni? Tantissime cose, ma la più importante è che gli stream degli artisti italiani in tutto il mondo sono aumentati a dismisura e questo è un ottimo segnale chiaramente.
Gli stream degli artisti italiani in tutto il mondo sono aumentati a dismisura, dicevamo. Ma di quanto? Del 1200%. Per farvi capire, possiamo dare i numeri (non stiamo impazzendo): nel 2013 gli ascolti erano 180 milioni, oggi sono circa 22 miliardi. E abbiamo detto tutto. C’è da aggiungere però che sono aumentati anche gli artisti italiani presenti sulla piattaforma: anche in questo caso c’è stato un incremento (non altrettanto alto, ma comunque decisamente significativo). Parliamo del 650% in più, che tradotto significa che oggi gli artisti sono 196mila. A questi si aggiungono i podcast in lingua italiana, che oggi sono più di 50.000.
Ma cosa ha determinato questa crescita così significativa di Spotify? Innanzitutto la prima playlist editoriale, a cui se ne sono aggiunte altre ed altre. Le più ascoltate in questo decennio? “Hot Hits Italia!“, “Estate” e “Alta Rotazione“. C’è da dire che ognuno di noi ha anche le sue dedicate e non parliamo solo di quelle create manualmente, ma anche di quelle proposte dalla stessa piattaforma in base agli ascolti.
Detto ciò, negli ultimi anni c’è stata anche una novità: anche nel Belpaese Spotify ha deciso di introdurre Radar e Equal, due dei suoi programmi che potremmo definire di punta. Il primo è nato con lo scopo di supportare i talenti nascenti, mentre il secondo è nato al chiaro scopo di favorire la parità di genere. Anche se, si sa, le artiste donne sono una minoranza reale, tangibile, visibile praticamente ovunque (basti pensare che, restando in territorio italiano, un talent celebre come Amici abbia accolto quest’anno solo due donne e quasi una decina di uomini). Restando su quest’ultimo, in ogni caso, tra le donne Ambassador troviamo sia talenti ormai navigati, celebri letteralmente in tutto il mondo, come Laura Pausini, che giovanissimi ed emergenti, come Ariete (che tra l’altro è stata anche ambassador globale, non solo nazionale).
La nota positiva è che almeno la Managing Director per il Sud e Est Europa è una donna: trattasi di Federica Tremolada. Magra consolazione in pratica. Detto ciò, entriamo nel vivo (ancora di più): ecco chi sono stati gli artisti più ascoltati in assoluto su Spotify in questi dieci anni.
Quali sono stati gli artisti più ascoltati in questi dieci anni su Spotify in Italia? Al primo posto troviamo Sfera Ebbasta, seguito da Guè Pequeno, Salmo, thasup, Marracash, Gemitaiz, Lazza, Capo Plaza, Ultimo, Rkomi. Non compaiono però in questa lista nomi celebri come quello di Fedez (non sarà forse che di quest’ultimo si parla un po’ troppo per via di polemiche e della sua vita privata e ormai sempre di meno per la sua musica? Chiediamo per un amico), ma anche ad esempio Blanco, Marco Mengoni (vincitore tra l’altro di Sanremo e presto protagonista dell’Eurovision), oppure altri navigati come Eros Ramazzotti, Cesare Cremonini, Francesco Renga. Ciò che si evince è che ormai a farla da padrone sono la trap e il rap (aveva ragione Beppe Vessicchio che, già nel 2018, lamentava la sparizione di tutti gli altri generi in favore di questi). Anche l’urban si è ritagliata un suo spazio, ma per il resto tutto tace (eccetto Ultimo). Dov’è finito il pop (sempre eccetto Ultimo)? Dov’è il cantautorato, quello puro, com’era fino agli anni ’90 (ah, già, quello è finito da tempo immemore)? Dove sono gli artisti che ci facevano sognare, emozionare, ballare lenti e non saltare su 180 bpm?
Piccolo spazio curiosità: nella succitata lista, precisamente al secondo posto, compare Gué Pequeno. Bene, si pensa che sia stato lui a portare le prime sonorità trap in Italia (anche se non volutamente e non del tutto, sia chiaro, non diamo a Cesare quel che non è di Cesare). Il primo album nostrano ritenuto tale, infatti, risale al 2011 ed è Il ragazzo d’oro proprio di Gué, fermo restando che allora la critica, ignara del tutto della reale collocazione di queste sonorità nel mare magnum di generi e del loro vero nome, le aveva identificate come alternative hip hop. Il primo cantante – anzi, rapper – che ha invece portato nel Belpaese alcuni elementi chiave della trap – tra cui il celebre auto-tune, che per chi non lo sapesse è lo strumento che rende meno stonati i cantanti quando si esibiscono live in poche parole, anche se tutti cercano di edulcorare il concetto sostenendo che serva a “ridurre le imperfezioni” – nel 2012.
Ma torniamo alle classifiche di Spotify. Abbiamo menzionato fino ad ora solo uomini, ma anche le donne meritano di essere nominate, anzi – permettetecelo – lo meritano ancora di più considerando la loro minoranza quantitativa. Apre la top 10 Madame, seguita da Elisa e poi da Alessandra Amoroso, Elodie, Baby K, ARIETE, Annalisa, Mara Sattei, Elettra Lamborghini, Giusy Ferreri. Anche qui, ahinoi, non troviamo star internazionali come la succitata Laura Pausini, tanto per citarne una. Ma non troviamo neanche artiste come Loredana Bertè, Fiorella Mannoia, Ornella Vanoni (che hanno collaborato anche con giovani e giovanissimi tra l’altro). A quanto pare, i talent la fanno da padroni, se consideriamo che la metà delle cantanti presenti nella classifica proviene da Amici, fatta eccezione per Giusy Ferreri, che viene comunque da X Factor, e per Madame, Ariete e Elettra Lamborghini (famosissima anche per via dei tantissimi programmi televisivi a cui ha preso pare negli anni, ammettiamolo).
Arriviamo alle canzoni più ascoltate in assoluto. In cima alla lista troviamo Il cielo nella stanza di Salmo feat. Nstasia, ma dobbiamo specificare che sono Blanco e Sfera Ebbasta a essere più presenti, considerando che compaiono diverse canzoni di entrambi nella classifica. Seguono, infatti, i due cantanti insieme con Mi fai impazzire, poi Blanco con Notti In Bianco, Fred De Palma con Una volta ancora (feat. Ana Mena), Sangiovanni con Malibu, thasup con blun7 a swishlandm Rkomi, Junior K e Sfera Ebbasta con Nuovo range, Coez con La musica non c’è, Capo Plaza con Tesla (feat. Sfera Ebbasta & DrefGold), Ernia con Superclassico.
Ciò che salta immediatamente all’occhio comunque è che in ogni classifica compaiono sempre gli stessi cantanti. Cambia l’ordine, ma i nomi sono tutti uguali. Questo fa riflettere: perché tra tanti artisti ce ne sono pochissimi capaci di sbaragliare la concorrenza e di farsi ascoltare, nel senso più profondo del termine? Forse in Italia continuiamo sempre a seguire i cosiddetti “fenomeni di massa”, gli artisti, cioè, che vanno “di moda”. Pensare questo è molto triste, perché la vera essenza della musica dovrebbe essere un’altra: ogni canzone dovrebbe farsi portatrice di un significato (più o meno) profondo, dovrebbe insegnare qualcosa, far riflettere, aprire dei veri e propri mondi (immaginari), fotografare la realtà, aiutare l’ascoltatore a guardare un tema da un’altra prospettiva, fornire un diverso punto di vista da cui guadare il mondo cioè. Eppure ascoltando alcuni dei testi degli artisti in cima a queste classifiche (diciamo anche quasi tutti, con le dovute eccezioni) troviamo più che altro singoli orecchiabili, ritornelli anche piacevoli magari, ma che ripetono sempre le stesse parole, trattano sempre sugli stessi temi, senza offrire nulla di più degli altri. Quello che fa la differenza, a quanto pare, è il livello di hype – si dice così, no? – che è capace di creare il cantante.
L’ultimo dato utile è che tra i podcast in cima alla lista c’è il Muschio selvaggio, condotto da Fedez, che almeno così compare da qualche parte (e così almeno per una volta non ne parliamo per il bacio con Rosa Chemical). Fine dei giochi.
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